L’Antimafia: «Graviano copre Berlusconi, non vuole tradirlo»

In un colloquio Graviano avrebbe rivelato al compagno di cella Adinolfi un segreto sulla tentata e fallita strage dell’Olimpico il 23 gennaio 1994.

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Silvio Berlusconi (Foto: Samantha Zucchi/Insidefoto)

Secondo la Dia, Giuseppe Graviano nel 2016 avrebbe confidato al compagno di detenzione, Umberto Adinolfi, un segreto: la strage dello Stadio Olimpico, tentata e fallita dagli uomini dello stesso Graviano, il 23 gennaio 1994, gli sarebbe stata chiesta da Silvio Berlusconi. Lo scrive Il Fatto Quotidiano, spiegando che si tratta di un’ipotesi investigativa e che lo stesso Graviano – interrogato – non ha confermato la lettura data dalla Dia delle sue parole.

Però le ultime righe dell’informativa del 16 marzo 2022 di 72 pagine, firmata dal capo centro della Dia di Firenze, Francesco Nannucci, sono nette: «Si può affermare che la conversazione ambientale del 10 aprile 2016, oggetto di rivalutazione nel corso dell’odierna delega di indagine è riconducibile al contesto criminale relativo alla strage dell’Olimpico del 23 gennaio 1994, con il coinvolgimento di Silvio Berlusconi, per il tramite di Marcello Dell’Utri, quale diretto interessato alla sua realizzazione».

In particolare, in un video registrato il 10 aprile 2016 in cella ad Ascoli Piceno, Graviano parla con Adinolfi, che secondo la Dia «sembra convinto che Silvio Berlusconi avesse anch’egli interagito con Giuseppe Graviano al fine far terminare il periodo stragista, ma al contrario, quest’ultimo prima risponde negativamente: “Noo!” e poi aggiunge: “Anzi meglio, anzi… lui mi disse, dice: Ci volesse una bella cosa”». Secondo l’interpretazione della Dia, la “bella cosa” sarebbe l’attentato di cui Graviano parlò ai tavolini del bar Doney a Gaspare Spatuzza nel gennaio 1994 per chiedergli di dare «il colpo di grazia» allo stadio Olimpico.

Per la Dia appunto è «una bella cosa” la cui finalità era di dare “il colpo di grazia”. Le due frasi di Graviano ben rappresentano un unicum di intenti, pronunciate a distanza di molti anni». Per puntellare il ragionamento la Dia ricorda le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia (Pietro Romeo e Giovanni Ciaramitaro) che nel 1995/96, parlarono della confidenza riferita loro da Francesco Giuliano, un altro mafioso non pentito, sulla richiesta di Berlusconi di fare le stragi.

Romeo già il 14 dicembre 1995 riferisce la confidenza di Giuliano sul fatto che c’era «un politico di Milano che aveva detto a Giuseppe Graviano di continuare a mettere bombe». Poi il 29 giugno 1996 Romeo precisa che il nome lo aveva appreso in un colloquio a tre con Spatuzza e Giuliano. Quando chiesero a Spatuzza, «se era Berlusconi la persona che c’era dietro gli attentati. Spatuzza aveva risposto di sì». Giuseppe Graviano, però, sentito nel 2020 e nel 2021 dai pm di Firenze, ammette che si riferiva a Berlusconi solo quando parlava degli investimenti del nonno e della sua delusione per le leggi sul 41 bis.

La Dia spiega che «Graviano non nega che Berlusconi sia stato il mandante, ma neanche lo ammette, prendendo una posizione interlocutoria». E sottolinea che nel colloquio intercettato in cella del 14 marzo 2017 «è lo stesso Graviano che imputa a Silvio Berlusconi di essere il mandante delle stragi (…) “Tu mi stai facendo morire in galera… che sei tu l’autore… io ho aspettato senza tradirti…”» . L’autore, inteso come autore delle stragi, è dunque l’interpretazione della Dia che non crede ai verbali più vaghi sul punto di Graviano.

«In sede di contestazione da parte dei magistrati, Graviano, cercando di fornire un improbabile giustificazione, riconducendo il tutto alla mera questione relativa agli investimenti economici del nonno materno, di fatto forniva indirettamente la conferma che il mandante delle stragi era appunto Silvio Berlusconi. Infatti, opportunamente incalzato sul punto, alla domanda del pm: “E che sei tu l’autore, l’autore di cosa?”, Graviano ribadiva con un laconico: “Non posso rispondere”, volendo, evidentemente, coprire, o non escludere, il possibile coinvolgimento di Berlusconi», scrive ancora la Dia.

Secondo la Dia «è chiaro, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che Graviano ha inteso “coprire” Berlusconi, non lo ha voluto tradire raccontando tutto quello che sa, sia nei rapporti con suo nonno e suo cugino, sia in rapporti ulteriori e diversi di cui Berlusconi era attore, ma che non ha voluto specificare. Il termine “tradire”, infatti, trova più giustificazione verso la rivelazione di un segreto che avrebbe certamente procurato un forte nocumento a Berlusconi, per qualcosa di cui quest’ultimo era “autore”, più che in un mancato rispetto di un patto economico che lo stesso avrebbe consolidato con il nonno di Giuseppe Graviano».

Per la Dia, «sono stati raccolti sufficienti indizi per ritenere che i riferimenti di Graviano nel colloquio con Adinolfi, siano per il coinvolgimento di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nella strage dell’Olimpico di Roma del 23.1.1994 e non per altri episodi, mai riscontrati». Accuse pesantissime che gli indagati smentiscono e che allo stato non sono dimostrate.