Sulla presidenza dell’Enel si accentra lo scontento che diversi investitori anglosassoni riservano alle nomine del governo. E Paolo Scaroni, attuale presidente del Milan, si trova ora nella scomoda veste di capro espiatorio. Come ha spiegato a La Repubblica Zach Mecelis, il gestore che ha depositato una lista alternativa al Tesoro per i vertici del colosso elettrico, «in cima alla nostra lista c’è Marco Mazzucchelli, candidato alla presidenza come alternativa a Scaroni».
Ha aggiunto, il gestore lituano, che sulle nomine Enel sente «la responsabilità di avviare un dibattito». Un certo “dibattito” si era aperto dall’indomani delle liste pubbliche: con vendite copiose in Borsa su Enel, perché chi investe parla prima di tutto così. «Il problema non è Scaroni, ma i suoi danti causa: Forza Italia e la Lega, che pur sedendo nel governo con Fdi non sono certo campioni di atlantismo. Il mercato sa benissimo da che parte stanno, per questo le nomine in Enel sono uno schiaffo».
Fu proprio Silvio Berlusconi a imporre il dirigente vicentino all’Eni, nel 2005. E nei nove anni in cui fu alla guida dell’altro colosso dell’energia italiana ebbe un ruolo di rilievo nell’aumentare la dipendenza con Mosca. I contratti siglati nel 2006 che fecero di Eni il primo cliente mondiale di Gazprom, furono commentati così da Scaroni: «Un passo fondamentale per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese».
Insomma, il modo in cui la premier Giorgia Meloni si è piegata ai veti degli alleati potrebbe rimettere zizzania tra i fondi anglosassoni e l’Italia. E Scaroni alla presidenza Enel è una miccia fin troppo esposta: anche perché lo statuto della società (poco “scalabile” perché il Tesoro ha il 23,6%, e il rinforzo della nuova legge sui poteri speciali), rende invece quella poltrona più contendibile. Il voto sulla presidenza Enel rischia così di diventare un plebiscito anche sulla sintonia tra il governo e il “big money” che parla inglese.