Mediaset cerca un futuro, tra vendita e un fondo estero

Il futuro di Mfe (già Mediaset) è tutto da studiare. Lo scrive il quotidiano Domani, spiegando che quello dell’emittente controllata da Fininvest sarà un caso emblematico del problema del passaggio…

Mediaset futuro fondo estero
Il logo di Mediaset (Image credit: Depositphotos)

Il futuro di Mfe (già Mediaset) è tutto da studiare. Lo scrive il quotidiano Domani, spiegando che quello dell’emittente controllata da Fininvest sarà un caso emblematico del problema del passaggio generazionale di un’impresa italiana di successo nel momento in cui il suo fondatore deve passare il testimone. Le alternative sono tre: proseguire con la seconda generazione; vendere e incassare; o crescere, molto spesso con il sostegno del private equity, ma con un cambio di governance.

La prima alternativa è troppo spesso seguita dalle imprese italiane, a discapito delle fortune dell’azienda. Per Mfe sarebbe deleteria perché è già un’azienda in declino, in un settore in declino. La televisione generalista è in una parabola discendente, con un’utente medio che invecchia, per via dell’avvento dello streaming e delle altre forme di intrattenimento online.

Mfe capitalizza poco più di 1,5 miliardi contro un valore mediano di 2,2 delle altre televisioni europee. Un alto prezzo da pagare se si vorrà mantenere il controllo e la governance familiare attuale, e che rende ogni realistico progetto di crescita alquanto velleitario.

Difficile la seconda alternativa di vendere, incassare e dividere il ricavato tra i cinque figli secondo l’asse ereditario. La struttura del gruppo sembra costruita in modo da dare alla figlia Marina una società da gestire, e a Pier Silvio la gestione di Mfe; lasciando gli altri tre figli senza un ruolo gestionale, pur avendo la stessa quota proprietaria. Si può facilmente immaginare che l’interesse a vendere dei cinque figli non sia lo stesso.

La terza via – spiega Domani – resta dunque quella più promettente: la strada adottata con successo da alcune famiglie imprenditoriali nel momento del passaggio generazionale. In questo caso nella compagine societaria entra un fondo di private equity che liquida i membri della famiglia che vogliono uscire, oltre a Vivendi e le altre partecipazioni non sinergiche come Mediolanum; fornisce i capitali per fare il delisting dalla Borsa e implementare più facilmente un piano di sviluppo; lascia la famiglia in controllo ma con un ruolo più strategico che gestionale, e apporta le capacità manageriali necessarie per la crescita.

Che nel caso di Mfe non potrebbe avvenire prevalentemente tramite aggregazioni con altre imprese nel settore in Europa, come si sta cercando di fare con ProSiebenSat, perché sono quasi tutte controllate da un gruppo con cui ci sarebbero estenuanti negoziazioni; perché in tutti i paesi europei quando si tratta di televisioni entrano in gioco interessi politici locali; e perché aggregando due aziende in un settore in declino non si hanno grandi benefici dalle economie di scala.

La strada da seguire è piuttosto quella degli Stati Uniti dove non ci sono più le società televisive tradizionali, ma dei veri conglomerati del tempo libero e dell’intrattenimento che le hanno incorporate, come Comcast (controlla Sky), Paramount, WarnerBros-Discovery, Liberty Media, o Disney; per poi crescere e diversificare nello streaming via internet, produzione di film e serie, proprietà di squadre o eventi sportivi (vedi F1), parchi divertimento, video giochi e altre forme di interazione.

Senza contare la concorrenza delle società tecnologiche come Amazon (PrimeVideo), Apple o Netflix. Società che il mercato valuta in media 17 volte gli utili, un forte premio rispetto alle tv europee. Mediaset ha tentato in passato la strada della diversificazione nei contenuti con Endemol, ma è finita con un flop. Resta da capire invece quale sarà la strada giusta per il futuro.