Milan-Inter, tutti i segreti dello stadio della Supercoppa

Articolo a cura di Luca Filidei

Un derby milanese lontano da Milano. Sembra un paradosso, eppure è quello che avverrà in occasione della Supercoppa italiana, quando Inter

Stadio Supercoppa italiana
(Foto: Kaz Photography/Getty Images)

Articolo a cura di Luca Filidei

Un derby milanese lontano da Milano. Sembra un paradosso, eppure è quello che avverrà in occasione della Supercoppa italiana, quando Inter e Milan si sfideranno nella città di Riad, la capitale dell’Arabia Saudita. Non una prima assoluta della stracittadina all’estero, visto il precedente al Beijing National Stadium, che tra l’altro, dando un’occhiata al recente passato, è l’ennesima conferma di una tendenza sempre più condivisa.

Qui, al King Fahd International Stadium che ospiterà la finale, si sono appena giocate le “final four” della Supercoppa spagnola che hanno visto trionfare il Barcellona, ma il rapporto tra Liga, Serie A e Arabia Saudita è stato già ampiamente consolidato attraverso le precedenti esperienze, tra cui due finali di Supercoppa spagnola e due di Supercoppa italiana.

L’impianto designato, simbolo della vision del Paese, è il più grande dello Stato con una capienza di quasi 69mila spettatori, superando il King Abdullah Stadium di circa 9mila posti. Inaugurato nel 1987 su progetto dello studio Ian Fraser, John Roberts & Partners, lo stadio ha fin da subito rappresentato il nuovo volto internazionale di Riad, costituendo la moderna “porta” della capitale. Struttura riconoscibile nel paesaggio urbano della città grazie allo stupefacente design, metafora identitaria del luogo con un rimando alle tende beduine, il King Fahd International Stadium sovrasta l’area desertica in cui si erge proprio per via dell’iconica copertura, la cui funzione è certamente quella di proteggere gli spettatori dal sole cocente, ma anche quella di apparire, sorprendere, affermare la propria unicità.

Una strategia che abbiamo recentemente visto nel Mondiale in Qatar, senza scordare la stessa Arabia Saudita, con il complesso di Gedda che ha ospitato un’edizione della Supercoppa italiana, oltre alla WWE Greatest Royal Rumble e, lo scorso agosto, il rematch tra i pesi massimi Joshua e Usyk.

Addentrandoci più nel campo tecnico, ma anche in quello delle curiosità, i circa 50mila mq di rivestimento/copertura (una delle più grandi al mondo) progettati da Horst Berger, che ha curato la statica dell’edificio, sono in realtà suddivisi in 24 unità che compongono un cerchio con un diametro di 288 m. Per reggere ogni modulo è presente un pilone alto 60 m a cui sono collegati i cavi che costituiscono il sostegno della membrana.

Questa è realizzata in fibra di vetro rivestita in PTFE o politetrafluoroetilene, un polimero molto diffuso nel campo della progettazione di infrastrutture sportive. Un cavo ad anello interno, visibile al di sopra del terreno di gioco, e un complesso sistema di distribuzione delle forze che ha necessitato di particolari fondazioni, completano poi lo schema strutturale, assicurando l’equilibrio dell’intero edificio.

Un perfetto equilibrio che non si applica però al catino, con un secondo anello che è presente solo in una sezione, al di sopra di un esteso primo livello di spalti che abbraccia il terreno di gioco (e la pista d’atletica che lo circonda) con la sola eccezione della tribuna d’onore, originale nella sua estetica. È interessante sapere che, proprio per il rinnovamento di questo stadio, nel 2016 è stato coinvolto uno studio d’architettura italiano con base a Roma, Schiattarella Associati, il cui obiettivo consisteva nell’integrare nuovi spazi funzionali, in primis dei parcheggi, intorno all’impianto. Il concept ideato, volto a valorizzare lo stesso King Fahd International Stadium, era certamente sviluppato per assolvere al compito funzionale richiesto, integrando però i nuovi volumi in modo da risolvere, almeno parzialmente, il rigido rapporto tra il coronamento e lo spazio outdoor.

Il progetto prevedeva infatti la costruzione di una collina artificiale, uno spazio di circa 12mila mq con un flebile rapporto tra interno ed esterno, in grado di ospitare aree hospitality, circa mille posti auto e di funzionare come un elemento di connessione, un rammendo, tra l’area circostante e lo stadio. Un progetto senz’altro interessante, con l’ambizione di avvicinare, nei limiti del possibile, un’architettura di tale grandezza alla città, ma anche una conferma dell’italianità “nascosta” di molti progetti – realizzati e non – di infrastrutture sportive nel mondo.

L’Air Albania Stadium, progettato da Archea Associati, è forse l’esempio (acclamato) più recente, ma ve ne sono altri, soprattutto in campo strettamente tecnico. E poi, ovviamente, a riprova di ciò, c’è anche il passato. A partire da Nervi e dalle sue straordinarie opere realizzate negli States. Ma questa, in fondo, è un’altra storia.