Nella sessione di mercato appena termina l’Inghilterra, che da giovedì piange la morte della regina Elisabetta II (la sua sovrana più longeva), ha confermato la sua leadership in termini economici sugli altri tornei mondiali. Le squadre inglesi hanno speso la bellezza di 2,24 miliardi di euro nelle negoziazioni, cifra non troppo lontana da quella delle altre quattro maggiori leghe europee messe insieme – Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1 -, ferme complessivamente a 2,29 miliardi di euro.
Sebbene i club di Sua maestà non abbiano impressionato nella prima uscita di Champions League – il Manchester City e il Tottenham hanno fatto bene ma il Chelsea è stato battuto dalla Dinamo Zagabria e il Liverpool è stato annichilito dal Napoli di Luciano Spalletti – è indubbio che per il momento quello inglese resta il torneo non solo più ricco ma anche quello tecnicamente più interessante. Tra i nuovi arrivati ad arricchire un panorama già sontuoso figura per esempio un certo Erling Haaland, approdato alla corte di Pep Guardiola e autore di 12 gol nelle prime 8 presenze con la maglia del City.
Questo dominio sul mercato è ovviamente una conseguenza diretta della primazia economica dei club d’Oltremanica, la maggioranza dei quali chiude il bilancio in attivo e quindi in ultima istanza le spese sul mercato sono da annoverare non tra le follie ma tra gli investimenti.
La cosa interessante però in questo momento, al di là del modo in cui finirà la stagione, è che il Modello Premier League sembra avere gli anticorpi necessari anche per poter contrastare il nemico forse più agguerrito e insidioso che nei prossimi mesi le leghe europee, e in particolare quella inglese, dovranno affrontare: la crisi economica che secondo molto osservatori sarà molto severa soprattutto nel Regno Unito.
Nella sua sempre interessante edizione della domenica Il Sole 24 Ore tratteggiava nei giorni scorsi uno scenario da tregenda per i prossimi mesi per la Gran Bretagna. In Inghilterra infatti è stata rispolverata per il prossimo inverno l’espressione shakesperiana “l’inverno del malconento”, un motto con cui era stata battezzata la parte finale del 1978, uno degli anni economicamente più difficili per il regno negli ultimi decenni. In particolare, il quotidiano economico milanese ha spiegato che complice l’uscita dall’Unione Europea il Regno Unito non avrà la possibilità di ammorbidire le tensioni economiche in uno spazio più allargato rischiando di essere preda di tensioni molto forti.
Nel dettaglio, ha spiegato sempre il quotidiano di Confindustria, l’inflazione è prevista, secondo la banca d’affari statunitense Citi, addirittura al 18% (al 13% secondo la Banca d’Inghilterra). Inoltre molte categorie sono già entrate in sciopero – dai netturbini ai trasporti, dai postini agli avvocati penalisti al loro primo sciopero della storia – e la Brexit ha reso più difficile esportare e quindi la recessione appare ormai inevitabile, anche secondo la Banca d’Inghilterra che prevede almeno cinque trimestri di crescita negativa.
Ovviamente sono tutti temi ai quali dovrà rispondere il nuovo prima ministro, la conservatrice Elizabeth “Liz” Truss, nominata in settimana e primo Primo Ministro del nuovo re (il primo Premier di Elisabetta II fu Winston Churchill). Truss ha già promesso grandi aiuti da parte dello Stato soprattutto per il pagamento delle bollette, schizzate a livelli mai visti prima. Ma i dubbi non sono pochi tanto che la copertina di questa settimana di The Economist (il prestigioso settimanale londinese controllato dalla Exor di John Elkann) si è domandata se “Liz può aggiustare la Gran Bretagna”.
Tornando al calcio è evidente che se si dovesse verificare una tale situazione, anche la Premier League non potrebbe non subirne i contraccolpi. Qualora la crisi dovesse mordere duramente, i consumi ne risentiranno pesantemente e per le entrate delle società calcistiche questo potrebbe significare soprattutto una forte flessione in ricavi da merchandising e in qualche caso anche per il ticketing. Soprattutto per i club più piccoli che non hanno a disposizione come loro bacino di utenza la grandi città metropolitane dove la popolazione è spesso impiegata in lavori dai salari maggiori.
Insomma la Premier deve tremare? Non proprio. Posto che bisognerà fare attenzone alla situazione economica generale, il pericolo per la solidità economica della Premier appare limitato. E forse ancora più limitato delle altre leghe europee le cui economie sottostanti potranno godere dello spazio allargato dell’Unione Europea.
Se infatti si analizzano le entrate dei club di Premier League, emerge in maniera evidente come le entrate da matchday siano relativamente esigue se paragonate a quelle, enormi, legate ai diritti tv. É infatti nel rapporto coi broadcaster che le società di Premier League costruiscono il loro vantaggio competituivo nei confronti delle loro omologhe negli altri Paesi.
Si dirà ma questo succede anche in altri paesi, in Italia per esempio. Vero. Però le cifre tra quanto incassano le squadre di Serie A rispetto a quelle di Premier League dalle tv non sono nemmeno paragonabili: secondo l’ultima edizione dell’Annual Football Finance Review di Deloitte, pubblicata nelle scorse settimane, i club inglesi nella stagione 2020/21 hanno registrato ricavi dai diritti tv per 3,7 miliardi di euro, contro quelli pari a 1,7 miliardi della Serie A, con impatto per entrambi i campionati intorno al 70% del fatturato.
Inoltre proprio quest’anno la Premier, sfruttando il suo appeal globale, ha registrato il sorpasso tra incassi provenienti dai diritti tv esteri rispetto a quelli nazionali. Quindi la variabile interna peserà meno. Infatti il nuovo accordo triennale per la trasmissione dei match del massimo campionato inglese tra Regno Unito ed estero non solo ha infranto la barriera dei 10 miliardi di sterline ma, come ha riportato il Times, gli accordi internazionali per il ciclo 2022-2025 avranno un valore complessivo di 5,3 miliardi di sterline, in aumento del 30% rispetto al triennio precedente, mentre i diritti nazionali porteranno 5,1 miliardi di sterline, per un totale di 10,5 miliardi di sterline (12,5 miliardi di euro) considerando anche i contratti commerciali. Il fatto che i diritti esteri varranno più di quelli nazionali è una novità per il calcio: ad esempio, il 59% dei ricavi televisivi della Liga spagnola, che in totale valgono meno della metà di quelle della Premier League (1,15 miliardi legati ai diritti nazionali e 778 milioni ai diritti internazionali per la Liga per un totale di 1,93 miliardi a stagione), proviene da accordi nazionali. Mentre a parte Premier League e Liga, negli ultimi due anni tutti gli altri grandi campionati hanno registrato un calo degli introiti televisivi.
Entrando nel merito del salto inglese sui diritti internazionali, va notato come i contratti che hanno fatto registrare l’incremento maggiore siano, ad esempio, quello con la NBC per i diritti 2022-2028 negli USA, che ora vale 2 miliardi di sterline. La stessa cifra versata da NENT per sei anni di diritti in Scandinavia. La Premier League si è assicurata inoltre maggiori ricavi dal Brasile e dal resto del Sudamerica, e più recentemente in Giappone e Corea, dove Eclat sostituirà DAZN.
Se confrontati con il mercato televisivo della Serie A, il paragone è impietoso. Gli accordi nazionali porteranno al massimo campionato italiano 927,5 milioni di euro in media a stagione fino al 2024, per un totale di 2.782,5 milioni di euro in tre anni (840 milioni a stagione da DAZN e una media di 87,5 milioni a stagione da Sky). Passando invece ai diritti tv internazionali, la cifra si riduce notevolmente e dovrebbe arrivare a poco più di 200 milioni di euro a stagione (in calo rispetto ai 370 milioni del triennio 2018/21, con i ricavi spinti dall’accordo con beIN Sports per il Medio Oriente). Questo significa che la Serie A incasserà complessivamente oltre 600 milioni di euro dall’estero nel triennio 2021-2024.
In totale, quindi tutti i diritti tv porteranno al massimo campionato italiano poco meno di 3,4 miliardi di euro, un po’ più di un quarto rispetto ai ricavi della Premier League. Anche il rapporto tra diritti nazionali e internazionali non regge il confronto. Se i club inglesi hanno appena festeggiato uno storico sorpasso, le entrate della Serie A dall’estero valgono appena il 17,7% della cifra complessiva.
Insomma quella sorta di NBA del calcio che è divenuta la Premier League negli ultimi anni, radunando non solo gran parte dei migliori giocatori del pianeta ma anche proprietà provenienti dagli angoli più diversi del mondo -dagli Stati Uniti, all’Arabia Saudita, alla Tailandia, ma soprattutto attraendo una audience veramente globale, fa sì che paradossalmente mentre il Regno Unito sarà alle prese con crisi economica acuita dalla scelta di uscire dall’Unione Europea, la Premier ne subirà molto meno l’impatto (e probabilmente delle altre leghe europee), proprio per essere divenuta un asset globale, una eccellenza mondiale del pallone.
LA JUVENTUS VERSO LA PERDITA MAGGIORE DI SMEPRE. RISPARMI DI MERCATO SEMPRE PIÙ NECESSARI
La notizia della settimana, per quanto riguarda le squadre italiane, oltre al trionfo del Napoli contro il Liverpool, è che la Juventus vada verso una perdita di bilancio pari a circa 250 milioni nella stagione 2021/22. Il dato va preso con cautela perché non ancora ufficiali (sono i numeri riportati nella semestrale di Exor sono utilizzati per la stesura del bilancio consolidato della holding). Tuttavia, come già accaduto negli anni scorsi, il dato che emerge dai conti Exor, seppur leggermente differente rispetto a quello dei conti della Juventus, rappresenta un indicatore attendibile per anticipare quello che sarà il risultato della società bianconera.
Se sarà confermato si tratterebbe non solo di un rosso superiore rispetto all’esercizio 2020/21, quando la Juventus chiuse a -209,9 milioni di euro, cosa che significherebbe per il club sarebbe il quinto bilancio in rosso consecutivo dopo le perdite appunto per 209,9 milioni nel 2020/21, per 89,7 milioni nel 2019/20, per 39,8 milioni nel 2018/19 e per 19,2 milioni nel 2017/18.
Ma soprattutto una perdita in linea con i 246 milioni fatti segnare dall’Inter nel 2020/21 e che hanno rappresentato il rosso record nella storia del calcio italiano.
Al di là di chi vincerà (o perderà) questo derby d’Italia del passivo di bilancio, appare incontrovertibile come la strada imboccata dalla Juventus e dalle big del calcio italiano – che hanno risparmiato qualcosa come 205 milioni nell’ultima sessione di mercato (91 solo la Juventus), sia ormai una via obbligata e necessaria per il calcio italiano. Al di là di quelli che potranno essere i risultati sul campo e a livello internazionale.