Un cantiere di cinque o sei anni che creerebbe difficoltà di utilizzo alle squadre e ridurrebbe la capienza dello stadio, costi di ristrutturazione che rischiano di avvicinarsi molto a quelli di una struttura nuova (oltre mezzo miliardo di euro) e oneri di manutenzione che graverebbero sulle casse di Palazzo Marino (5 milioni l’anno per la sola manutenzione straordinaria).
Sono queste – spiega l’edizione milanese de La Repubblica – le principali motivazioni con cui i tecnici comunali hanno bocciato i due referendum contro il nuovo stadio di San Siro, dando responso negativo sulla fattibilità tecnica ed economica dei quesiti.
Il primo referendum, in sintesi, chiede che il Meazza venga ristrutturato senza che Milan e Inter si costruiscano una nuova casa a pochi metri di distanza. Questa la risposta del Comune: «La ristrutturazione dello stadio Meazza» la cui durata è «stimata in circa cinque-sei anni», genererebbe «problemi di utilizzo nel corso dei lavori sulla struttura da parte dei due club», ridurrebbe «significativamente la capienza dello stadio e non potrebbe garantire prestazioni equivalenti a quelle di un impianto di nuova generazione».
«Da un’analisi dei costi di costruzione come riportati nella Proposta», la riqualificazione del Meazza costerebbe «approssimativamente 510 milioni di euro, rispetto ai 650 per il nuovo stadio». Cifre, che, poi, dovranno tenere conto di eventuali aumenti dovuti agli «imprevisti» legati ad una risistemazione.
Tra le motivazioni con cui il Comune dice no al voto popolare c’è anche il tema della gestione dello stadio: perché se Inter e Milan se ne vanno è chiaro che il problema sarebbe tutto di Palazzo Marino. «È infatti prevedibile che non vi siano soggetti terzi che possano avere interesse a prendere in gestione la struttura», è scritto.
«Pertanto, l’eventuale accoglimento» del referendum «potrebbe comportare la necessità della gestione diretta dell’impianto da parte del Comune di Milano con costi di manutenzione che, solo per la parte straordinaria, si stimano in circa 5 milioni annui». Ora la palla passa ai Collegio dei Garanti, chiamato a dare o meno il via libera alla consultazione popolare entro il 3 agosto.