Niente feeling e flop DAZN: così Gubitosi rischia a TIM

Luigi Gubitosi, il numero uno del gruppo Telecom, è finito nella bufera. Il suo attuale mandato di amministratore delegato è stato appena confermato per tre anni, ma oggi – scrive…

TIM DAZN Gubitosi

Luigi Gubitosi, il numero uno del gruppo Telecom, è finito nella bufera. Il suo attuale mandato di amministratore delegato è stato appena confermato per tre anni, ma oggi – scrive Il Giornale – una parte consistente di quella stessa assemblea punta a metterlo da parte dopo solo otto mesi.

A volere la sua testa è il primo azionista del gruppo, i francesi di Vivendi, che controllano il 23,5% del capitale di TIM. La questione parte da lontano, perché l’attuale assetto della governance di Telecom nasce da un compromesso per fare convivere Vivendi e Cdp sotto lo stesso tetto, e Gubitosi non è stato scelto dai francesi.

[cfDaznAlmanaccoCalcioPlayer]

Insomma, Vivendi attendeva un passo falso, e purtroppo per Gubitosi, nel corso dell’anno i numeri del gruppo si sono rivelati peggiori del previsto, creando le condizioni per l’attacco dei francesi. A pesare sui conti sono state in particolare un paio di scelte effettuate dal manager.

La prima è stata quella di calcolare l’impatto dei voucher che il governo aveva annunciato per favorire la diffusione digitale. Bonus che si sono rivelati inferiori di quanto sperato. La seconda è stata l’operazione DAZN: la scelta di finanziare la piattaforma streaming con la rilevante cifra di 340 milioni per tre anni, puntando così ad avere il volano del calcio per trovare nuovi clienti sia per il sistema TimVision, sia per la banda larga.

Operazione che si è rivelata poco efficace. Meno di un terzo sono i clienti che hanno aderito rispetto alle stime. A Vivendi la cosa non è andata proprio giù. A maggior ragione perché l’operazione DAZN è stata vista come un’iniziativa personale di Gubitosi, portata avanti anche grazie agli ottimi rapporti con l’AD della Serie A, Luigi De Siervo.

[cfDaznWidgetSerieA]

Gubitosi, conclude Il Giornale, rischia di pagare il dazio della propria «constituency», quel terreno di rapporti finanziari e relazioni che lo ha condotto negli anni a ottenere incarichi di vertice (da Wind, alla Rai, all’Alitalia), lasciando però un po’ scoperto il lato più strettamente industriale.