Il patron del Lille a CF su Superlega, Friedkin e Maignan

Intervista al patron del Lille, che ha sconfitto il Psg. Dalla Superlega alla Roma, da Maignan a Mediapro: cosa ci ha raccontato.

chi è alessandro barnaba

Con il suo Lille è riuscito nell’impresa di soffiare lo scettro di Campione di Francia al Paris Saint-Germain, dominatore quasi incontrastato del massimo campionato francese nell’ultimo decennio.

Stiamo parlando di Alessandro Barnaba, fondatore del fondo Merlyn Advisors, che a fine 2020 è entrato nel Lille rilevando la società francese dal patron Gérard Lopez. Barnaba, già global chairman dell’investment banking di JPMorgan e consigliere di Dan Friedkin, ha rilasciato una lunga intervista a Calcio e Finanza toccando diversi temi: dall’investimento nel club francese alla sua amata Roma, dal futuro portiere del Milan Maignan (che viene dal Lille) e rivelando un gustoso aneddoto sulla tanto discussa Superlega.

Siete riusciti nell’impresa di battere un gigante come il Psg, che aveva conquistato sette degli ultimi otto titoli in Francia. Quali ritiene che siano stati i segreti del vostro successo?

Quando cominciammo a guardare alla possibilità di compare il Lille alla fine della scorsa estate, avevamo due sole certezze: il campionato francese normalmente si gioca per il secondo posto (il primo è riservato al PSG ndr), il Lille aveva un organico sportivo (allenatore e giocatori ndr) di tutto rispetto. Su queste basi, mentre si definivano gli aspetti finanziari dell’operazione, abbiamo impostato la nostra avventura per il proseguimento della stagione 20/21 con l’obiettivo di centrare l’Europa, idealmente con la Champions League, ma pronti ad accontentarci dell’Europa League in un primo anno che è generalmente di transizione.

Arrivati alla chiusura dell’operazione (18 Dicembre 2020 ndr) la squadra stava facendo però molto bene e si stava giocando il titolo di campione d’inverno con il PSG. Quando si compete con squadre che hanno a diposizione budget immensamente più grandi del proprio, l’unica cosa su cui si può fare affidamento sono lo spirito di squadra e la capacità di entrare in campo con un team pronto a dare sempre il 100% di ciò che si ha, nella speranza che “gli altri” non mantengano lo stesso livello di concentrazione e commettano qualche errore.

Dal lato di Merlyn, abbiamo quindi deciso di non vendere nessun giocatore nella finestra di mercato di gennaio, cosa che invece tutti si aspettavano facessimo, e provare a puntare in alto sul campo, focalizzandoci nel mentre sul lavoro interno alla società, dove abbiamo assunto un Presidente (Olivier Letang ndr) che sa come gestire questo business cercando il successo sul campo e fuori dal campo. Ma sul campo è stato Christophe Galtier, il nostro allenatore, a riuscire a tirar fuori non il 100% ma forse il 110% di quanto la squadra poteva dare e ha costruito man mano nei ragazzi la consapevolezza che l’impresa fosse possibile.

Col passare delle giornate la convinzione è aumentata sempre di più fino al punto che dopo il passaggio a vuoto con il Saint Etienne in casa nella penultima giornata, alla fine di un allenamento al quale stavo assistendo, uno dei leader del gruppo mi ha detto con convinzione: “non si preoccupi, domenica ad Angers vinciamo e saremo campioni!”. Questa mentalità, unita al raggiungimento della consapevolezza di poterlo veramente fare, sono quello che ci ha permesso di centrare un obiettivo che per tutti, compresi noi, sembrava irraggiungibile anche solo pochi mesi fa.

Con Merlyn Advisors siete entrati lo scorso anno nel club. Che orizzonte temporale vi siete dati? Si tratta di un investimento a breve o medio-lungo termine?

Quando si investe in una società di calcio, presa da una situazione di insolvenza e dove senza il nostro intervento il club non sarebbe riuscito a terminare il campionato, per forza di cose l’orizzonte temporale non può essere di breve periodo. Noi abbiamo avuto la fortuna di acquistare una società che seppur disastrata dal punto di vista finanziario, partiva bene dal punto di vista dell’organico sportivo, cosa che ci ha permesso di puntare in alto sul campo. Allo stesso tempo però la pandemia da un lato, che ha tenuto gli stadi chiusi per tutta la stagione, e la debacle di Mediapro dall’altro, che ha abbattuto i già miseri ricavi da diritti televisivi se paragonati alla Serie A o alle altre principale leghe europee, hanno creato tanta tensione dal punto di vista finanziario che ha necessitato di un aumento di capitale da 40 milioni di euro a gennaio.

La buona situazione sportiva ci ha però permesso di focalizzarci sul lato societario, dove con Olivier abbiamo iniziato un processo di risanamento interno per trasformare la società da una trading unit, dove l’unica maniera per far quadrare i conti era quella di generare plusvalenze dalla compravendita di calciatori, a una società che punta alla stabilità dei cash flows garantita da un equilibrio tra campo, per generare maggiori ricavi da diritti televisivi, match day revenues, quando riapriranno gli stadi, e ricavi commerciali e da sponsorship con quanto si spende per gli stipendi del team e gli altri costi.

Solo in questa maniera si può pensare di creare valore in termini di equity value con un club di calcio, ed è su questo che noi di Merlyn ci stiamo focalizzando. Il successo sul campo e quello fuori dal campo non possono essere disgiunti, e se si prova a raggiungere uno senza l’altro, o si hanno i soldi degli sceicchi, oppure diventa impossibile farlo in maniera durevole. Mentre quando si riesce a raggiungere un equilibrio di cash flows, allora diventa legittimo cominciare a guardare al valore della società come multiplo delle normalised revenues, date da broadcasting revenues, match day revenues e commercial revenues ma che escludono il trading dei calciatori. Creare valore attraverso la crescita delle normalised revenues è il nostro obiettivo. Per raggiungerlo serve quindi tempo e un gran lavoro di fino tra contenimento dei costi ed investimento in calciatori che possano permettere la massimizzazione delle broadcasting revenues, che per una squadra francese significano sempre e comunque essere in Europa.

Alessandro Barnaba

Come cambierà le vostre prospettive la qualificazione in Champions League? Avete intenzione di investire e continuare a migliorare la squadra o di portare avanti una politica di monetizzazione dei talenti migliori (pensando ai casi dei vari Leao e Osimhen, tra i più recenti)?

Come dicevo prima, pensare di poter creare equity value, soprattutto in Francia, senza i ricavi legati alla partecipazione alle competizioni europee è impensabile. La strada del puro players trading porta inevitabilmente, prima o poi, alla rovina. Come amiamo ripetere: non si può avere successo fuori dal campo (successo finanziario ndr) senza averlo sul campo, ma non si può allo stesso tempo avere successo sul campo senza averlo fuori.

Il nostro progetto prevede quindi di continuare ad avere una squadra competitiva, che continui a puntare quanto meno alla Champions – se non si vuol parlare di un altro scudetto -, ma dove l’Europa League deve essere il minimo. E’ ovvio però che in Francia, con l’eccezione del PSG che lavora su altri numeri, nessuna squadra è in grado di avere un budget sufficiente a tenere giovani campioni quando si avvicina la scadenza del loro contratto.

E’ quindi purtroppo normale veder partire per l’estero tanti giovani dalle grandi promesse attirati da salari molto più alti in altri campionati europei. Per darvi un’idea, prima del problema Mediapro, una squadra di alta classifica in Francia poteva fare affidamento su circa 35 milioni derivanti dai diritti televisivi di campionato e coppa di Francia. Un’analoga squadra in Italia genera circa 100 milioni di euro da campionato e Coppa Italia, con situazioni analoghe negli altri campionati, con l’Inghilterra all’apice.

Di conseguenza, i salari che possono essere pagati in Serie A, Liga, Premier League e Bundesliga sono significativamente più alti di quelli che possono esser pagati in Francia. Non è un caso che la Ligue 1 si sia autodefinita la “Lega dei Talenti”, la maggior parte dei quali comincia a sbocciare in Francia ma quasi sempre matura in un altro paese… Non è quindi solo una questione di monetizzazione di plusvalenze, quanto una necessità dovuta alla impossibilità di pagare stipendi in grado di competere con gli altri campionati. Detto questo, il nostro obiettivo è quello di tenere quanti più possibile dei nostri talenti, continuare a cercarne di nuovi, usare al meglio il mercato dei prestiti di giocatori e sicuramente avere una squadra che possa rimanere competitiva ai massimi livelli in Francia e possibilmente in Europa.

Da uomo di finanza, come giudica il progetto Superlega? Si è dato una spiegazione sul perchè club così potenti abbiano cambiato idea in così poco tempo?

Da un punto di vista esclusivamente finanziario la Superlega è un progetto splendido: in qualsiasi settore chiunque vorrebbe essere un monopolista o quasi. Il progetto avrebbe raccolto i creatori di quasi tutto il content che i broadcasters televisivi vogliono e avrebbe di conseguenza garantito enormi ricavi per tutti coloro che ne avessero fatto parte. Quando ero ancora a JPMorgan, nel 2018, mi presentarono l’idea chiedendo quanta fosse stata la capacità di finanziamento di un progetto del genere, la mia risposta fu semplice: un progetto come questo non avrà mai problemi di finanziamento, prendendo in pegno i diritti televisivi si può finanziare qualsiasi cifra.

Allo stesso tempo, gli dissi chiaramente che il problema sarebbe stato un altro: il calcio in Europa non è un business come un altro. Esiste una valenza socio-economica che questo sport ha in Europa con l’indotto creato dalle grandi leghe e competizioni europee che arriva fino ai più piccoli paesi, ma soprattutto in ogni paese arriva fino agli angoli più remoti e ai più piccoli oratori o polisportive. Pensare di poter interrompere non solo questo flusso di denaro, ma togliere la possibilità di svago che si ha guardando o praticando il calcio, non solo ai massimi livelli ma anche e soprattutto a quelli minori, è pericolosissimo e già all’epoca dissi che il problema non sarebbe stato solo con la UEFA o le grandi leghe nazionali, ma sarebbe stato con la classe politica che immancabilmente avrebbe capito la gravità della situazione. Così è stato.

Il calcio è un settore dove si può fare business – e in molti casi l’intervento di chi compra un club per motivi di business è necessario per la sopravvivenza del club -, ma chiunque compra un club di calcio deve farlo con la consapevolezza che sta comprando un’azienda con una rilevanza sociale e dove quindi le regole non sono esclusivamente dettate dalla massimizzazione del profitto. Il profitto poi può e deve arrivare per rendere il sistema sostenibile, ma non si può pensare di ottenere uno dimenticando l’altro.

E’ stato quindi ovvio che i club con le spalle più larghe siano stati i primi ad abbandonare il progetto vista la mala parata, o addirittura a non aderirvi mai come il PSG o il Bayern. Il calcio ha dei problemi di fondo che devono essere risolti il prima possibile per il bene di tutti, grandi e piccole squadre. Ma la soluzione deve passare per le istituzioni e bisogna lavorare con loro per cambiare quanto va cambiato, è impensabile provare a farlo contro di loro.

Purtroppo la pandemia ha creato un problema enorme nei bilanci di tante squadre e a mio modo di vedere, e giudicando anche dalla maniera in cui è stata annunciata, questa Superlega è parsa più come un atto di disperazione che non un progetto completo: basti pensare al fatto che all’annuncio solo 12 delle 15 squadre previste sono state nominate. Di conseguenza, così come era stato facile aderire quando si è ricevuta la chiamata di invito, è stato altrettanto semplice sganciarsi per chi non era nella cabina di regia. Vedremo ora cosa succederà con le cause e le sanzioni, ma io credo e spero che si ritorni a una situazione di normalità senza sanzioni o cause per danni ma che anzi questo serva come catalizzatore per aprire un vero tavolo di discussione sulle modifiche di cui il calcio ha bisogno.

Lei è stato uno dei principali consulenti di Friedkin nell’affare Roma. Come vede il primo anno di vera gestione del club, considerando che la scorsa stagione la nuova proprietà è arrivata ad agosto, avendo avuto dunque poco tempo per lasciare il segno?

Ho avuto la fortuna di conoscere Dan e Ryan Friedkin quando ero ancora a JPMorgan e sono rimasto poi a loro vicino anche dopo la mia partenza. Dan e Ryan secondo me impersonificano esemplarmente il tipo di imprenditore a cui facevo riferimento sopra. Sono arrivati alla Roma con la consapevolezza di aver acquistato un Club storico, con una grande valenza sociale nella capitale e non solo, e hanno approcciato la gestione della società nella maniera migliore dal giorno uno.

Hanno deciso di passare da subito la maggior parte del loro tempo fisicamente a Roma per capire l’ambiente, conoscere la società e le persone che ne fanno parte e arrivare poi a poter prendere decisioni solo dopo aver capito cosa sia meglio fare. Ho quindi grandemente ammirato il fatto che si siano concentrati sulla struttura societaria all’inizio cercando di trattenere persone di valore già presenti, penso a Fienga, e attirare talenti importanti per aiutarli a gestire al meglio le tante situazioni importantissime sul lato non sportivo, penso a Scalera e Vitali solo per citarne un paio.

Sul lato sportivo invece hanno giustamente, secondo me, deciso di aspettare a prendere decisioni importanti fino a quando non fosse stata più chiara, vista dal di dentro, la situazione societaria e di conseguenza definire quelli che possono essere gli obiettivi. E per farlo hanno deciso di prendere al loro fianco uno come Pinto, che oltre allo sport capisce anche molto di numeri. Hanno allo stesso tempo avuto modo di capire che il tifoso romanista, più di ogni altra cosa, vuole una bandiera dietro la quale poter lottare, gioire e soffrire e questo gli hanno dato con la loro prima scelta importante: portare a Roma un allenatore come Mourinho. Io penso che fino ad ora poco più potevano fare di meglio e quindi il mio giudizio è assolutamente positivo sul loro primo anno a Roma.

Maignan Milan prezzo
Mike Maignan (Foto: JBAutissier/Panorami, via Onefootball)

In chiusura – visto che tra ieri e oggi si sono accesi i riflettori su di lui – cosa ne pensa di Maignan? Una sua impressione sulle qualità del ragazzo che avrà sicuramente avuto modo di vedere da vicino.

Mike è un grande portiere con tutti i numeri per diventare un grandissimo. Ha l’energia necessaria a tenere tutta la linea difensiva sempre all’erta e pronta a difendere la sua porta. Ha capacità tecniche eccezionali. Ha la sicurezza di un veterano con i riflessi di un ventenne. Sono sicuro che diventerà il portiere della nazionale francese e sarà un vero peccato vederlo partire, ma come dicevo, anche lui è vicino alla scadenza del contratto e purtroppo è difficile tenere questi ragazzi quando hanno la possibilità di andare a giocare in campionati molto più ricchi di quello francese. Sono sicuro che dovunque andrà farà bene.