La riforma del lavoro sportivo in Italia: tutte le novità in vista

La riforma del lavoro sportivo – I calciatori professionisti costituiscono circa il 5% del personale delle società calcistiche, solo una piccola minoranza. Magazzinieri,…

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La riforma del lavoro sportivo – I calciatori professionisti costituiscono circa il 5% del personale delle società calcistiche, solo una piccola minoranza. Magazzinieri, guardiani, giardinieri, centralinisti, impiegati, addetti al marketing ed alle vendite sono figure che – oltre ai giocatori ed allo staff tecnico – costituiscono la base diffusa del personale delle società di calcio.

Considerando soltanto la massima serie, la Lega di Serie A stima si tratti di non meno di 5 mila persone, i cui rapporti di lavoro sono regolati complessivamente da una decina di contratti collettivi diversi, da quello del Commercio a quello dei metalmeccanici, per cui ogni società ne adotta uno e cerca di adattarlo alle proprie esigenze. Ciò genera incertezza, differenti trattamenti, oltre ad una pressoché totale assenza di ridistribuzione in un mondo caratterizzato dagli ingaggi milionari dei calciatori professionisti.

La riforma del lavoro sportivo – La trattativa sindacati-Serie A

È notizia recente che la Lega di Serie A ha avviato una trattativa con i sindacati CGIL, CISL e UIL finalizzata a dare vita a un contratto unico per tutti i lavoratori inseriti nel mondo del calcio e che non sono calciatori. Si tratterebbe, in questo caso, di una vera e propria innovazione amministrativa, dal momento che nessuna lega di calcio europea ha mai realizzato un contratto unico per i dipendenti non inquadrati come calciatori. Inoltre, non sfugge come i riflettori delle Olimpiadi invernali del 2026 siano fisiologicamente motivo in più per migliorare le condizioni di lavoro nello sport con iniziative di questo tipo.

La riforma del lavoro sportivo – Professionismo e dilettantismo nello sport

Questa esigenza di armonizzazione contrattuale si inserisce nel contesto di una stagione di rivoluzioni potenzialmente copernicane per il mondo del calcio, innescate dal legislatore nazionale: dalla istituzione del Registro nazionale degli agenti sportivi, istituito presso il CONI ai sensi dell’art. 1, comma 373, della legge 27 dicembre 2017 n. 205 e dell’art. 1 del D.P.C.M. del 23 marzo 2018, alla recente volontà del Governo di introdurre novità per il mondo del semiprofessionismo e per le piccole realtà, come l’istituzione delle “imprese sportive” e il riconoscimento e la normazione dei “professionisti dello sport”.

Sotto quest’ultimo profilo, appare rilevante richiamare un disegno di legge che è stato approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 27 giugno 2019 (A.C. 1603-bis). Tale normativa, all’articolo 5, reca una delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi per il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché per la disciplina del rapporto di lavoro sportivo. La delega è finalizzata a garantire l’osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico che in quello professionistico.

Nella legislazione italiana ci sono, infatti, solo le definizioni di sportivi professionisti e di rapporto di lavoro sportivo professionistico, mentre non vi sono le definizioni di sportivi dilettanti e di rapporto di lavoro sportivo dilettantistico. In particolare, in base all’art. 2 della L. 91/1981, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali.

A sua volta, l’art. 5, co. 2, lett. d), del d.lgs. 242/1999 attribuisce al Consiglio nazionale del CONI il compito di stabilire, in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale o disciplina sportiva associata, criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica.

La riforma del lavoro sportivo – Che cosa prevede la delega al Governo

In relazione alla delega al Governo, al comma 1 si stabiliscono alcuni importanti criteri direttivi specifici, quali: (i) il riconoscimento del principio di specificità dello sport e del rapporto di lavoro sportivo, come definito a livello nazionale e dell’Unione europea, nonché del principio delle pari opportunità, anche per le persone con disabilità, nella pratica sportiva e nell’accesso al lavoro sportivo sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico (lett.b); (ii) l’individuazione della figura del lavoratore sportivo, compresa la figura del direttore di gara, senza distinzioni di genere e indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta, nonché definizione della relativa disciplina in materia di tutela assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza (lett.c). 

Si ricorda che per la Corte di giustizia dell’Unione europea, ai fini dell’applicazione del diritto europeo, non rileva la distinzione tra attività sportive professionistiche e dilettantistiche, quanto piuttosto la natura economica o meno dell’attività svolta. Inoltre, la giurisprudenza europea ha chiarito che, ai fini della qualificazione di un’atleta quale professionista, è sufficiente che questi percepisca una retribuzione periodica a fronte di un obbligo di effettuare una prestazione sportiva in forma subordinata costituente la sua attività principale (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 8 maggio 2003, C-438/00; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 11 aprile 2000, procedimenti riuniti C-51/96 e C191/97).

La riforma del lavoro sportivo – Il calcio femminile

Che dire allora del calcio femminile? A pochi giorni di distanza dai mondiali di Francia – fenomeno sportivo ed economico di rilievo – va ricordato che molte federazioni sportive hanno escluso esplicitamente le donne dall’area del professionismo: il caso più eclatante resta quello del calcio, ma anche la pallacanestro pone molti limiti, non permettendo alle donne la partecipazione ai campionati nazionali. Questo “dilettantismo imposto” alle atlete impedisce loro di usufruire della L. 91/81 che regola non solo i rapporti con le società, ma anche la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, il trattamento pensionistico, etc.

Ad oggi, quindi, esistono motivi di carattere normativo (bisogno di allineamento della situazione italiana al contesto comunitario) e di ordine economico (sviluppo del calcio femminile) che rendono sempre più attuali le prospettive di riforma del tradizionale assetto normativo sopra delineato.

Il disegno di legge n. 1603 riveste una grande importanza in tal senso, poiché finalizzato a riordinare la materia sportiva per quanto riguarda il ruolo del CONI, ma soprattutto perché è volto superare, finalmente, la tradizionale L. 91/81 e con essa le disparità di trattamento retributivo e contributivo tra professionisti riconosciuti e i dilettanti che, alla realtà dei fatti, sono professionisti di fatto. Attendiamo i prossimi sviluppi.

Articolo a cura di Avv. Matteo Di Francesco, responsabile dipartimento di diritto del lavoro e sportivo  Jenny.Avvocati Studio Legale Associato