È di pochi giorni fa la notizia secondo cui la Juventus avrebbe trovato un accordo per l’ingaggio – a giugno ed a parametro zero – del centrocampista gallese dell’Arsenal, Aaron Ramsey.
Stando a quanto trapela, la società verosimilmente verserà all’entourage del giocatore una consistente somma (circa 9 mln), da contabilizzare a bilancio sotto la voce “oneri accessori”.
Non si tratta, infatti, di un Costo sostenuto per l’acquisizione dei diritti alla prestazione sportiva del calciatore[1], bensì di una “commissione” riconosciuta al procuratore del giocatore per aver intermediato l’affare, favorendone il buon esito.
Come già avevamo rilevato qui, la pratica di riconoscere commissioni ai procuratori è, ormai, invalsa in tutti i maggiori campionati europei, ed ha fatto registrare nella sola Serie A, spese per 138 mln nel solo anno solare 2017[2].
Ma come può tale pratica coniugarsi con il divieto di accordi di TPO (“Third Party Ownership”) imposto dall’art. 18 ter[3]del RSTP (“Regulation on the Status and Trasfer of Players”), introdotto dalla FIFA nel 2015?
Occorre, a questo punto, fare un passo indietro e chiarire cosa s’intende per accordi di TPO: si tratta, sostanzialmente, di investimenti effettuati da soggetti esterni all’ordinamento sportivo (fondi di investimento in genere, ma anche soggetti privati), i quali in tale modo acquisiscono – in tutto o in parte – i diritti economici derivanti dalla prestazione sportiva degli atleti professionisti, al fine di ricavarne un profitto al momento dell’eventuale futuro trasferimento.
Tali accordi erano – e sono – diffusissimi soprattutto in America Latina, ove sono nati come una sottospecie di finanziamento alle società sportive professionistiche con disponibilità economiche ridotte, alle quali viene consentito di acquistare i diritti alla prestazione sportiva di determinati calciatori grazie al capitale di credito fornito dal fondo d’investimento di turno, a fronte di un corrispettivo rappresentato dalla cessione, totale o parziale, dei diritti economici derivanti dalla prestazione sportiva, ossia la famosa percentuale sulla futura rivendita.
In questo modo la società professionistica è titolare del diritto alla prestazione sportiva dell’atleta, mentre il soggetto terzo è titolare di tutti o di parte dei diritti economici ad essa sottesi, sostanzialmente divenendone in un certo senso “proprietario” (da qui third party ownership).
Naturale conseguenza è che, qualora il valore del giocatore in questione dovesse crescere, il soggetto investitore sarà interessato a venderlo al fine di veder remunerato il proprio investimento, esercitando un’indebita ingerenza sulla progettualità sportiva della società titolare delle relative prestazioni sportive.
Quest’ultime, infatti, non avrebbero altro modo per rimborsare il fondo per il capitale finanziatole se non, appunto, versandogli parte del ricavato della vendita del calciatore.
Fino al 2015 tali pratiche erano lecite (o per meglio dire, non regolamentate), ma di fronte alla crescente preoccupazione della comunità calcistica internazionale, è stato vietato dalla FIFA, appunto con l’art.18 ter RSTP, qualunque “accordo con un soggetto terzo con il quale tale soggetto terzo sia intitolato a partecipare, in tutto o in parte, ai risultati economici del futuro trasferimento di un giocatore da un club ad un altro, o gli sia attribuito un qualsiasi diritto in relazione ad un futuro trasferimento”.
La motivazione di tale divieto è intuibile: l’indebita influenza esercitata da soggetti terzi all’ordinamento sportivo sulle scelte di trasferimento o, più in generale, sulla politica sportiva di una società, rischiava di compromettere l’integrità e la trasparenza delle competizioni nazionali e non.
Alla luce di questa doverosa premessa, non sono pochi coloro i quali hanno messo in dubbio la legittimità delle commissioni ai procuratori, sospettando che mal celassero una sottintesa TPO.
Il confine, invero, è molto labile.
Se il procuratore, infatti, chiedesse una percentuale sulla futura rivendita del calciatore[4], esso si comporterebbe come un third party owner, in quanto vero e proprio titolare di una porzione dei diritti economici della prestazione sportiva del calciatore e, dunque, in grado di esercitare un’indebita influenze sulla politica di gestione societaria della squadra titolare del cartellino; pertanto, tale ipotesi sarebbe illegittima e censurabile.
Stessa cosa accadrebbe nell’ambito di un trasferimento a parametro zero, come quello de quo– ove naturalmente non v’è un prezzo di rivendita cui ancorare una percentuale poiché il calciatore si trasferisce a titolo gratuito – qualora il compenso al procuratore venisse parametrato all’attuale valore di mercato del giocatore oggetto del trasferimento.
Come si giustificano, allora, l’esose commissioni riconosciute ai procuratori?
Orbene, per dirimere la questione occorre aver riguardo alla causa del movimento di denaro da società a procuratore, spostandola dal trasferimento del calciatore ex se, alla sua intermediazione: è illegittimo, dunque, riconoscere al procuratore una percentuale sulla vendita del giocatore poiché maschererebbe una TPO, mentre è, al contrario, ben legittimo riconoscere al procuratore un compenso per la sua attività di intermediazione nell’ambito del trasferimento stesso.
Per quanto concerne il trasferimento di Ramsey alla Juventus F.C., dunque, il compenso di 9 mln al suo entourage troverebbe causa nel separato contratto di mandato stipulato dalla società acquirente con il procuratore stesso per la sua attività d’intermediazione per la buona riuscita dell’affare[5].
La linearità delle riflessioni di cui sopra soffrono di fuorvianti curvature nel momento in cui non si trattasse di trasferimenti a parametro zero, ma a titolo oneroso.
In quest’ultimo caso, infatti, non basterebbe che il compenso al procuratore venisse giustificato sulla base di un contratto di mandato, ma occorrerebbe, in aggiunta, che quest’ultimo non venisse ancorato ad una percentuale sul prezzo di trasferimento.
Qualora lo fosse, infatti, il contratto di mandato non consentirebbe di superare il rischio di TPO, venendo considerato piuttosto come un contratto simulato.
Per superare la restrizione, dunque, i più arditi ed esperti hanno pattuito, sempre nel contratto di mandato a latere di quello di trasferimento, compensi non percentuali ma scaglionati: è il caso di Raiola e della Juventus, che nell’ambito dell’affare che portò Pogba al Manchester United, pattuirono un compenso per l’attività di intermediazione di 18 mln fissi qualora il prezzo di vendita fosse risultato superiore ai 90 mln, incrementabili di 3 mln in 3 mln a seconda che il prezzo fosse risultato superiore ai 95/100/105 mln e così via[6].
In conclusione, le clausole che prevedano il riconoscimento di una percentuale sulla futura rivendita di un calciatore sono vietate dalla FIFA in quanto comportano la possibilità, per soggetti terzi all’ordinamento sportivo, di esercitare un’indebita ingerenza sulla libertà di gestione sportiva di una società professionistica.
Ciò significa che, al contrario, una clausola che preveda il riconoscimento di una percentuale sulla futura rivendita di un calciatore è legittima (ed è denominata “Sell-On Clause”) qualora venga inserita in un contratto di trasferimento a favore di soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo e non terzi (uno dei due clubparti del contratto stesso, in genere il venditore), con l’unico ed invalicabile limite del divieto di influenzare l’indipendenza, la politica o la performance della società controparte[7].
NOTE
[1]Il quale, essendo a scadenza di contratto, è libero di legarsi contrattualmente ad una società terza senza che debba essere sostenuto alcun onere per l’acquisizione del suo c.d. cartellino, in ossequio al principio della libera circolazione dei lavoratori nel territorio dell’Unione Europea.
[2]Cifre che anche per l’anno solare 2018 dovrebbero attestarsi sopra il tetto dei 100 mln, alla luce, fra le altre, delle commissioni riconosciute all’entourage di Emre Can (16 mln) e di CR7 (12 mln).
[3]“No club or player shall enter into an agreement with a third party whereby
a third party is being entitled to participate, either in full or in part, in compensation payable in relation to the future transfer of a player from one club to another, or is being assigned any rights in relation to a future transfer or transfer compensation.”
[4]Da intendersi come differenza netta fra costo d’acquisto e prezzo di rivendita.
[5]Il quale, nel caso di specie, ha rappresentato con la società venditrice, sia gli interessi del giocatore che quelli della società acquirente.
[6]La legittimità di una remunerazione del genere è certificato dall’esito negativa dell’inchiesta per violazione delle norme sulla TPO portata avanti dalla DisciplinaryCommittedella FIFA, conclusasi con la dismissione di tutte le accuse contro la Juventus F.C.: “The Fifa Disciplinary Committee has decided to dismiss all charges against the club Juventus FC for the apparent infringements of the Regulations on the Status and Transfer of Players (RSTP) in the frame of the transfer of the player Paul Labile Pogba given that the evidence available was not sufficient to establish to the appropriate standard of proof, that art. 18ter of the RSTP had been breached”. (cfr. https://www.independent.co.uk/sport/football/european/juventus-paul-pogba-transfer-cleared-fifa-a8019651.html).
[7]È valida la clausola che prevede che il club acquirente dovrà versare al club venditore il 25% della futura vendita del giocatore oggetto del contratto di trasferimento. È invalida la clausola che prevede per il club acquirente l’obbligo di versare al club venditore una determinata somma in caso di mancata vendita, nella stagione successiva, del giocatore oggetto del trasferimento attuale. In questo caso, infatti, per non dovere riconoscere al club venditore detta somma, il club acquirente è spinto a vendere il giocatore in questione: trattasi di indebita ingerenza nella politica dei trasferimenti del club, pertanto illegittima.