Un business plan ritenuto non irrealistico e la nuova proprietà di Elliott: sono questi i fattori che hanno portato il Tas a ribaltare la sentenza dell’Uefa contro il Milan, che aveva escluso i rossoneri dalle coppe per una stagione per le violazioni sul Fair Play Finanziario. È quanto emerge dalla lettura delle motivazioni del Tas, rese note oggi.
Ripercorrendo la cronologia di tutto il procedimento, si legge che il Milan, dopo la decisione dell’Uefa del 19 giugno scorso, ha inviato il suo appello al Tas il 4 luglio. L’11 luglio, la società rossonera ha inviato inoltre la richiesta di poter accedere ai settlement agreement di Inter, PSG e Manchester City, richiesta accolta dal Tas con invito all’Uefa a presentare un riassunto di come sia giunto all’accordo con ciascuno di essi.
Il 19 luglio è andato in scena l’audizione davanti al Tas del club, rappresentato da Marco Fassone e dagli avvocati Roberto Cappelli e Andrea Aiello dello studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners; dagli avvocati Antonio Rigozzi, Sebastien Besson e William McAuliffe dello studio Lévy, Kaufmann-Kohler, con le testimonianze inoltre dello stesso Fassone e di Franck Tuil in rappresentanza di Elliott.
Secondo il Milan, la decisione dell’Uefa si è basta su fatti errati o fatti che non sono stati correttamente valutati, dalla lettera di Elliott per garantire il supporto al club in caso di passaggio di proprietà (eliminando i rischi derivanti dal mancato rifinanziamento e relativi alla continutià aziendale) fino all’ultimo business plan presentato, in cui il Milan spiegava di poter rispettare i parametri del break-even anche con una riduzione a 0 dei ricavi dalla Cina.
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In sostanza, la società rossonera era dell’opinione che rispettasse i criteri per un settlement agreement, alla luce anche delle peggiori situazioni di Inter, PSG e Manchester City al momento della firma dell’accordo: un trattamento ingiusto e iniquo rispetto alle altre società, considerando che soltanto alla Dinamo Mosca nella storia non era stato offerto un settlement agreement. Inoltre, secondo il Milan la decisione ha violato anche la legge svizzera ed europea sulla concorrenza. In conclusione, il Milan ha chiesto nell’appello al Tas di cancellare la decisione dell’Uefa, ordinando alla stessa federcalcio europea di entrare in una trattativa con il club rossonero per il settlement agreement.
Secondo l’Uefa, tuttavia, il caso del Milan non è in alcun modo comparabile con i casi di Inter, Psg e Manchester City, fatta eccezione per le importante perdite rispetto all’obbligo del break-even. Ma il rosso di bilancio in chiave Fpf non è stato l’unico criterio alla base della decisione, anzi l’Uefa ne ha seguiti ben altri cinque: la scarsa fiducia nel business, l’incertezza in merito al rifinanziamento, il rischio di un cambio di proprietà forzato, il rischio relativo alla continuità aziendale e il trend negativo dei risultati finanziari futuri. In particolare, l’Uefa ha sottolineato che il business plan conteneva ipotesi rischiose per il futuro per raggiungere il break-even (alti obiettivi sportivi, ricavi derivanti dalle plusvalenze ecc), oltre al fatto che il Milan avesse ignorato le raccomandazioni di far crescere i ricavi prima di spendere per nuovi giocatori.
Si arriva, così alla decisione del Tas. Il tribunale svizzero spiega che non era negli obblighi dell’Uefa offrire un settlement agreement al Milan, nemmeno prendendo in considerazione quanto era già stato fatto con altre società.
Il Tas analizza poi, punto per punto, i vari elementi che hanno portato alla decisione. Per quanto riguarda il business plan, il Milan aveva previsto la partecipazione all’Europa League nel 2017/18 e 2018/19 e alla Champions League nel 2019/20 e 2020/21, raggiungendo in quest’ultimo caso i quarti di finali. Ipotesi ritenute non realistiche dall’Uefa: il Tas tuttavia sottolinea come siano presenti anche scenari alternativi, come la mancata partecipazione alla Champions o con ricavi dalla Cina ridotti fino al 75%, casi in cui tuttavia il Milan prevedeva di poter rispettare l’obbligo del break-even per il periodo. Il semplice fatto, inoltre, di aver presentato tre diversi business plan non è sinonimo di scarsa credibilità, secondo il Tas, senza avere quantomeno prima analizzato i documenti.
Per quanto riguarda la proprietà e il rifinanziamento, il rappresentante della Camera Investigativa dell’Uefa ha ammesso che la situazione del club alla data dell’audizione davanti al Tas era decisamente diversa rispetto a quando arrivò la sentenza. Basandosi sulla situazione al 19 luglio, con Elliott al vertice, “forse avremmo preso una decisione diversa”, spiega. L’Uefa, inoltre, non ha deciso di rispondere all’accusa di avere male interpretato il rischio di continuità aziendale contenuto nella revisione redatta dai revisori di Ernst Young.
Il Tas quindi ha ritenuto che la Camera Aggiudicatoria dell’Uefa non ha valutato correttamente i fatti rilevanti o che i fatti siano cambiati al momento dell’udienza (il 19 luglio 2018). Motivi che sono alla base della sentenza dell’Uefa che, per questo, non è stata ritenuta proporzionata ed è stata parzialmente annullata. Il Tas, non potendo inoltre decidere sulla nuova sanzione, ha deciso infine di rimandare il caso all’Adjudicatory Chamber dell’UEFA per l’irrogazione di una sanzionedisciplinare proporzionata.