Il presidente del Torino, Urbano Cairo, torna a dire la sua sul rapporto tra potenza economica dei club e vittorie sul campo. In una lunga intervista concessa al Corriere dello Sport realizzata dall’ex segretario del Pd, Walter Veltroni, nei nuovi panni di storyteller, il numero uno del club granata e del gruppo Rcs, ha ribadito quanto sia importante per un club far crescere i propri ricavi per aumentare la competitività sul campo.
«Io sono al Toro da 12 anni. Quando l’ ho preso avevo dei sogni grandi, ma poi ho capito che non erano così facili da realizzare. Io considero tutto possibile, però nel calcio è davvero difficile prescindere dalle dimensioni economiche delle società. Quindi il “nulla è impossibile” viene temperato, non dico rimosso. Poi, certo, è successo che il Leicester ha vinto in Premier League, anche se quest’anno stava quasi retrocedendo. Il Leicester è una squadra piccola del campionato inglese, che però fattura due volte e mezza il Toro. Se il Toro non fa plusvalenze, fattura 60- 65 milioni, per dire molto, e il Leicester ne fattura 140-145 . Questo ti permette di avere dei giocatori importanti che puoi pagare e che ti consentono di avere risultati di prestigio. Ho letto un libro, anni fa, che diceva che c’è una correlazione diretta, assoluta, tra il livello di stipendi e il livello delle vittorie».

Dunque è la potenza economica che fa le classifiche? «Negli ultimi vent’anni, da quando cioè il mondo è cambiato a causa dello sviluppo enorme dei diritti televisivi, lo scudetto lo hanno vinto sempre e soltanto la Juve, il Milan e l’Inter», spiega ancora Cairo. «In due occasioni non è successo, con la Lazio e la Roma. Soltanto in queste due occasioni. Poi, la Roma, il povero Sensi l’ha dovuta vendere e credo che economicamente ci abbia rimesso veramente tanti soldi. Cragnotti non so se sia fallito per via di questo od altro, ma certamente la Lazio gli ha dato un bel colpo, perché comprare giocatori a botte di novanta, cento miliardi di allora non è stato certamente un fatto positivo, per lui. Quindi il “nulla è impossibile” del mio decalogo in questo caso viene messo a dura prova».
Cairo: l’obiettivo del Toro? Andare in Europa League e vincere la Coppa Italia
Sensi, Berlusconi, Moratti, Agnelli sono imprenditori che hanno rischiato in prima persona nelle loro squadre. «Ho citato Milan ed Inter che hanno vinto insieme alla Juve, ma Massimo Moratti ad un certo punto ha preferito lasciare l’Inter, avendoci perso oltre un miliardo, e Berlusconi ha investito nel Milan credo 700-800 milioni o anche di più, poi quasi interamente recuperati nella vendita recente. Lei pensi: il Milan, negli otto anni dal 1986 al 1994, ha vinto il 60% dei suoi trofei, perdendo mediamente otto-nove milioni all’anno; nei 23 anni successivi ha vinto il 40% dei suoi trofei, perdendo mediamente 40 milioni all’anno. Questo è avvenuto da quando sono entrati in gioco i diritti Tv. Allora dico: l’obiettivo del Torino oggi quale può essere? Deve essere quello di puntare ad andare in Europa, deve essere quello di cercare di vincere una Coppa Italia, che ci manca da tanti anni».
Lei quale ritiene essere il problema principale del calcio italiano, di una delle più grandi realtà economiche del Paese? «Il calcio italiano oggi dovrebbe veder crescere la competizione al suo interno. Nel senso che avere una squadra come la Juve che vince cinque scudetti, forse sei, di fila, credo non faccia bene al calcio, perché quando l’esito è troppo scontato la gente si diverte di meno. Per fare questo però si devono redistribuire le risorse in maniera diversa».
E anche sfruttare meglio i diritti internazionali, i diritti televisivi all’estero. «Questo è alla base di tutto. E allora lì veniamo alla Lega! Nella Lega ci vuole un presidente di garanzia che deve riuscire a organizzare e ristrutturare la Lega in maniera moderna, un po’ come hanno fatto in Inghilterra o in Spagna. La Spagna ha un manager di Lega bravissimo, hanno strutturato le loro Leghe in maniera molto manageriale, avendo persone che vanno in giro per il mondo a raccontare cos’è il loro calcio, cosa che noi non facciamo, e a sviluppare le attività commerciali in paesi stranieri. Non per caso il calcio italiano raccoglie 180 milioni all’estero, quello spagnolo 630 e il calcio inglese un miliardo e trecento milioni».