C’è un angolo di Catalogna anche in Italia. Più che di Catalogna, un angolo blaugrana: nel 2007 infatti in Lombardia è nata la Penya Lombarda, associazione ufficiale di tifosi del Barcellona fondata da Antimo De Salve. Un vero e proprio pezzetto di Barcellona in Italia, che dal 2007 si è resto protagonista non solo in ambito sportivo (come per il mosaico blaugrana di quasi 6000 pezzi nel terzo anello di San Siro nel novembre 2011 durante la sfida tra il Milan e il Barça), ma anche e soprattutto in ambito sociale. Così, alla vigilia della gara di Champions tra i blaugrana e la Juventus, abbiamo fatto una chiacchierata con Antimo De Salve tra Barcellona, Penya Lombarda, soci e anche Lionel Messi.
De Salve, come nasce la sua passione per il Barcellona?
«Nasce grazie ad un amico che mi portò a vedere una partita. Io non ero nemmeno un grande appassionato di calcio, ma questo mio amico mi portò a vedere un Clasico, Barça-Madrid del 2002 semifinale di Champions. Da lì, nonostante la sconfitta, ho iniziato ad appassionarmi al club. Poi nel 2006 ho deciso di diventare socio del Barça e nel 2007 ho deciso di fondare la Penya Lombarda».
Ecco, magari non tutti lo sanno, ma che cos’è una Penya?
«Non c’è un termine esatto per tradurla in italiano. È una sorta di circolo sociale, dove ovviamente ciò che unisce è la passione per il Barcellona. In realtà la prima Penya nasce a Barcellona come circolo ricreativo dei soci del Barcellona, che avevano deciso di avere uno spazio fuori dal club dove potessero vivere la loro passione. Non è un fan club, è una vera e propria associazione che deve rispettare dei requisiti richiesti dal Barcellona per diventare una Penya ufficiale. Noi, la Penya Lombarda, siamo un’associazione italiana ma registrata ufficialmente nei registri della società, siamo una Penya ufficiale a tutti gli effetti, fin dal momento della nascita».

La vostra Penya, la Penya Lombarda, come è nata?
«Dal mio desiderio di avvicinarmi ancora di più al Barcellona e per poter vivere la mia passione a pieno. Innanzitutto, quando ho iniziato a cercare di capire come funzionava il club ho scoperto dell’esistenza delle Penya, ho cercato di vedere se ne esisteva una in Italia. In teoria esisteva, ma in realtà si era dimostrata una bufala. Ho chiesto così alla società se ce ne fosse un’altra, la loro risposta è stata “No, sappiamo solo di questa. E, anzi, già che ci dici che non esiste, perché non ne apri una tu?”. Da lì, insieme ad altri due amici abbiamo deciso di fondare la Penya Lombarda».
Oggi quanti iscritti avete? Ci sono altre Penya in Italia?
«Nella nostra Penya abbiamo circa un’ottantina di soci. Noi siamo stati la prima Penya nel 2007, poi successivamente nel 2011 è nata la Penya di Torino, nel 2012 quella di Genova, nel 2013 quella di Bergamo e nel 2016 quella di Roma».

In questi anni siete stati protagonisti di tante attività a livello di solidarietà.
«Abbiamo fatto tante attività e tante persone siamo riusciti ad aiutare. C’è sempre stato uno spirito solidale nel Football Club Barcelona, noi però, tra le tante Penya, siamo stati i primi a dare un’impronta così importante nel tema sociale. Tutto quello che abbiamo realizzato in questi 10 anni lo abbiamo sempre fatto con un fine benefico, questo è stata la nostra peculiarità, per noi era fondamentale avere un occhio di riguardo verso chi è meno fortunato. Oggi tra le altre cose alleniamo una squadra di ragazzi disabili, e aiutiamo tante associazioni sia in Italia che all’estero o nel mondo della disabilità o delle malattie pediatriche».
Quest’anno la vostra Penya compie 10 anni e lei è prossimo a lasciare la presidenza. Qual è stato il momento più bello di questo decennio?
«Difficile dirlo, perché ce ne sono stati tanti. Abbiamo avuto la fortuna di vivere insieme questo periodo, a differenza delle altre Penya che sono nate sul successo del Barcellona, noi siamo nati prima che accadesse tutto ciò, prima anche del divismo di Messi. Abbiamo avuto la fortuna di vivere forse il decennio migliore del Barcellona per intero. Però, forse è la cosa più bella di questi 10 anni di attività è che tante Penya hanno deciso di seguire il nostro esempio dal punto di vista della solidarietà e di questo ne abbiamo avuto riconoscenza a parole con l’attuale presidente Bartomeu ma anche con il presidente Rosell».

Sarete presenti stasera a Torino per la gara contro la Juventus?
«Sì, certamente. Avendo un’alta considerazione da parte del Barcellona, per cui ci ha messo a disposizione, pagando ovviamente, un buon numero di biglietti. Molto probabilmente saremo la penya più numerosa presente allo Stadium anche tra quelle straniere».
Non solo calcio, però: siete stati presenti anche nelle gare italiane delle altre squadre del Barça, dal basket all’hockey.
«Sì, perché la mia passione è nata quando ho cominciato a conoscere il club, quindi quello che proprio mi ha coinvolto è il club, inteso come il Barcellona a 360 gradi. Poi magari tanti hanno la passione per il Barcellona solo per il calcio, che ovviamente è il trascinatore. La questione è che da vera Penya noi seguiamo tutto: basket, pallavolo. Addirittura noi come Penya Lombarda siamo stati la prima Penya ad aver sponsorizzato una sezione del Barcellona: nel 2012 abbiamo sponsorizzato il volley femminile del Barça, per cui abbiamo acquistato parte del materiale tecnico, abbiamo fatto una donazione e abbiamo organizzato per loro una trasferta in Italia, giocando anche contro la Foppapedretti Bergamo».
I rapporti con la società come sono?
«Sono buoni, anche per le tante cose che noi facciamo. Questo ci ha messo un po’ in luce verso la società. Come detto prima, più che ricordare un evento specifico, quello che ricordo con maggiore soddisfazione è il fatto che noi abbiamo dato un’immagine particolare di come vivere il Barcellona a 1000km di distanza, non solo con la passione puramente del tifo ma anche con il tema della solidarietà».
Lei è anche socio del Barcellona dal 2006. La domanda che in molti si fanno è: come si diventa socio?
«Intanto bisogna dire che nell’arco degli anni è cambiata la modalità. Quando sono diventato socio io era una cosa abbastanza semplice, nel senso che compilavi un modulo online, mandavi tutto ed eri socio, prima succedeva così. Cla presidenza Rosell sono cambiate le modalità. C’è stato un evento particolare, l’acquisto di Ibrahimovic che ha portato 20/25mila soci che arrivavano dalla Svezia: soci che poi, l’anno successivo con la cessione di Ibra non hanno più rinnovato la quota. Da quel momento il Barcellona ha messo dei paletti: è stato istituito un carnet de compromiso, quindi una tessera di socio compromissario per cui per 3 anni bisogna dimostrare fedeltà al club, presentandoti in un determinato periodo dell’anno per rinnovare la quota, che quindi non veniva rinnovata automaticamente ma bisogna andare fisicamente a Barcellona. Dopo il terzo anno di rinnovo allora da quel momento si può diventare socio. È stato fatto con la volontà di far sì che chi è socio del Barcellona lo è perché ci crede, non perché legato ad un giocatore».

Cosa vuol dire essere socio?
«Innanzitutto il socio ha il diritto di votare il presidente, siamo noi a dare il voto. Una cosa importante, uno dei pochi club al mondo che ha questo privilegio, il Barcellona è considerato come esempio di club democratico. Dal punto di vista economico, la quota negli ultimi anni è rimasta invariata (oggi costa 177 euro annui per gli adulti, 89 euro per i bambini e 42 per i bambini sotto i 6 anni, ndr), anzi è stata ribassata rispetto ad un tempo, quando mi sono iscritto costava di più. E viene chiesto solo questo impegno economico, mentre dal punto di vista decisionale ogni decisione riguardante la squadra viene presa dal presidente e da chi si occupa della parte sportiva. Diciamo che se un socio vede che c’è qualcosa che non va ha tutti i diritti per mettere in sfiducia la presidenza e la giunta direttiva: una persona sola può far cadere la presidenza. Siamo il club più democratico al mondo e questo lo dimostra. La famosa vicenda Neymar è nata tutta da un socio che voleva vedere i documenti».
Chiudiamo con una domanda più da tifoso: alla fine, Messi rinnoverà?
«Credo che ad oggi lo sappiano Messi e Bartomeu, forse solo loro. Farselo scappare sarebbe un peccato, bisogna considerare che sarà probabilmente l’ultimo contratto della sua carriera: c’è l’aspetto economico, per cui il Barcellona quando c’è da tirare fuori i soldi ci pensa bene e ci sono altri club che sicuramente potranno offrirgli di più; e poi c’è l’aspetto affettivo, per cui il Barcellona ha dato tanto a Messi e Messi ha dato tanto al Barcellona. Per come ho conosciuto il club, però, penso che difficilmente andrà via».