Secondo l’ultima classifica pubblicata da Univision, Bundesliga, Premier League, Liga, Serie A e Ligue 1 sono, nell’ordine, i campionati calcistici europei più seguiti per media spettatori. Questo dato sembra ben rappresentare l’attuale stato di salute del calcio.
Aprendo però l’orizzonte di analisi, ci accorgiamo che il massimo torneo italiano non è solo dietro ai tre principali campionati del Vecchio Continente. A sorpresa, anche la Major League Soccer è davanti.
Com’è possibile che un campionato così giovane (solo alla 21a edizione) in una nazione così tradizionalmente lontana dal calcio possa avere maggiore seguito rispetto alla nostra Serie A?
È la spia di un movimento sempre più in espansione o solo un caso particolare?
Il modello di business della MLS
36.045 è la cifra (quasi) record di spettatori che hanno riempito il BMO Field per l’atto finale dei playoff MLS 2016 (sponsorizzati Audi) tra Seattle e Toronto. Tuttavia, la Major League Soccer è diventata quello che è oggi solo dopo una cavalcata ventennale, iniziata nel 1995, quando la lega nasceva “su richiesta” della FIFA, come “contropartita” per aver assegnato il Mondiale 1994 alla Federazione statunitense.
Eravamo ancora ad uno stato embrionale della MLS, per come la conosciamo oggi: in campo c’era ancora un gioco “americanizzato” con shootout calciati da Valderrama e dall’istrionico portiere-attaccante Campos.
La MLS che vediamo oggi è radicalmente diversa, sostanzialmente frutto di due momenti di svolta, che hanno indirizzato l’attenzione degli americani verso il soccer e “europeizzato” il sistema, dando il là alla sua strutturazione e crescita: i quarti di finale raggiunti dalla Nazionale ai Mondiali 2002, ma soprattutto l’arrivo di David Beckham ai LA Galaxy nel 2007.
Il commissioner Don Garber (ex dirigente NFL) è colui che in quegli anni ha intuito le potenzialità del movimento e cominciato, con la sua squadra, a lavorare per strutturare il business model necessario a commercializzare la lega, continuando anche oggi.
Dal 2002 si è assistito quindi a una crescita continua del numero delle squadre partecipanti, degli spettatori e dei ricavi, numeri importanti per una così giovane lega.
Nel tempo, le opportunità di marketing e di visibilità hanno attirato l’interesse di investitori e nuovi proprietari pronti a sfruttare il “soft power” derivante dal soccer.
È inoltre in questo contesto che viene creato il veicolo che la MLS utilizza per commercializzare (vendita dei diritti TV e sponsorizzazioni) il sistema calcistico USA, il Soccer United Marketing (2002).
A far da controparte a questo entusiasmante quadro ci sono però alcune situazioni controverse, dovute principalmente a due fattori: l’”immaturità” della lega e la logica finanziaria che permea il sistema (vedi tabella relativa al business dei proprietari).
Esempi lampanti sono la “forzata” cessazione dell’attività del Chivas USA, mal proposto come seconda squadra di Los Angeles, o il ritiro dal calcio di molti calciatori che gravitano nelle fasce più basse della piramide retributiva, ma soprattutto il salvataggio della lega dalla bancarotta nel 2001 (grazie a Phil Anschutz e allefamiglie Kraft e Hunt).
E’ il rovescio della medaglia di un sistema con ampie potenzialità, ma in cui in realtà molte delle franchigie sono in perdita.
In questo contesto è piuttosto singolare quindi la questione franchise fee che la MLS chiede per entrare a far parte del “gioco”: tra gli addetti ai lavori è aperta la discussione circa la loro congruità: per alcuni, forse sproporzionate visto che, ad esempio, la nuova squadra di Los Angeles (LAFC) ha pagato nell’ottobre 2014 $ 110 mln, il New York City FC $ 100 mln, mentre l’Orlando City di Kakà e la nuova squadra di Atlanta (che debutterà nel 2017), $ 70 mln a testa; per altri, giustificate dato che permettono di entrare in un sistema dove il valore delle franchigie (franchise value medio: +400% tra il 2008-2016; +79,6% tra il 2013-2016) e i ricavi aumentano continuamente (+25% tra il 2012-15).
È notevole il fatto che le nuove entranti (anno di affiliazione 2014) Orlando (con EBITDA addirittura positivo) e NYC siano già al livello di ricavi delle altre, mentre Atlanta, non ancora attiva, abbia già 26mila abbonamenti venduti per il 2017.
Senza andare nel dettaglio in questa analisi, è interessante notare la differenza del sistema USA con quello europeo, specialmente in ottica Financial Fair Play.
I motivi della crescita esponenziale
La crescita della MLS può essere attribuita a vari fattori, in primis a un approccio manageriale diffuso a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, che rende la lega marcatamente business-oriented. L’essere un mercato giovane, ancora conquistabile, che vede la possibilità di avvicinare milioni e milioni di tifosi-clienti, è sicuramente appetibile non solo dai top club europei in ottica marketing, ma anche dallo stesso movimento statunitense.
Si registra perciò un significativo volume di investimenti esteri attirati dal sistema, da parte di imprenditori-proprietari con interessi anche in Europa: casi eclatanti sono quelli delle due squadre di New York, il City e i Red Bulls, su cui si sta cercando anche di costruire una rivalità cittadina (il derby dell’Hudson) che punta il mirino verso gli storici derby europei.
Altro fattore di successo è l’incertezza del risultato finale: il modello americano, mutuato dalle altre leghe professionistiche USA, garantisce la competitività e la contendibilità della lega. L’adozione di un “modello chiuso”, salary cap e draft, seppur limitanti, permettono ogni anno a tutte le franchigie ai nastri di partenza di ambire al titolo nazionale.
Si perdono così alcune possibilità di aumentare il valore del campionato (ad esempio, la possibilità di sfruttare la narrazione della lotta “per la sopravvivenza” dovuta alle retrocessioni), ma fino ad oggi, queste scelte sembrano giustificate: la MLS riesce a generare ricavi derivanti dalla vendita dei diritti TV (circa $100 mln/annui per 8 anni con ESPN, FOX e Univision fino al 2022) e dalle sponsorizzazioni (Audi, Adidas, Heineken, Coca Cola, Mondelez, EA, Eithad, Tag Heuer tra gli altri, per un valore complessivo superiore ai $50 mln), che entrano nel sistema senza uscire.
Anche la regola del Designated player per attirare grandi nomi europei ha contribuito ad alzare il livello, quanto meno dello spettacolo, trainando accordi di sponsorship e merchandising, broadcasting e spettatori senza scalfire la contendibilità del torneo.
Inoltre, gli investimenti negli stadi (ben $ 2,5 mld stimati per lo sviluppo delle facilities) sono fondamentali: la creazione di stadi specificatamente per il soccer (e non condivisi), la vendita dei naming rights, ma soprattutto l’adeguatezza degli impianti ad ospitare i fan e rendere la loro esperienza piacevole è sicuramente una leva di crescita rilevante.
Non è da trascurare anche la logica “comunitaria” americana: per motivi sia culturali che utilitaristici, gli investimenti vengono calibrati per avere impatto anche sull’economia cittadina, facendo sì che i cittadini “ricompensino” la squadra, contribuendo ai ricavi delle stesse.
Da ultimo, è importante segnalare che il movimento è riuscito pure a “costruire” una cultura calcistica finora sconosciuta in USA, adattando il calcio alla visione “sport-entertainment” prettamente americana senza snaturare entrambi i punti di vista.
Per il successo di questa integrazione sono fondamentali le attività di co-marketing e co-branding progettate con gli sponsor: un esempio particolare è l’Audi Player Index, un indice (creato sulla base dei dati Opta) che misura la performance dei calciatori sulla base di un algoritmo, utilizzato da tutti i club di MLS (e anche dalle squadre sponsorizzate Audi come il Milan). L’indice è capace di sintetizzare in un unico numero la performance di un calciatore. Una mossa perfetta per dare soddisfazione ai fan a stelle e strisce, “’ossessionati” dalla statistica e dalla sabermetrica.
Dove la MLS può migliorare? Il futuro della lega
Come visto, prima della sua attuale affermazione, la massima lega a stelle e strisce è stata sull’orlo della bancarotta.
Il decisivo turnaround compiuto dal commissioner Don Garber dimostra ancora una volta che il calcio è un business a tutti gli effetti e un approccio manageriale è fondamentale per la sua gestione.
In una recente intervista a Forbes, lo stesso commissioner mostra la volontà di spingere il calcio a insidiare l’oligopolio NBA, NFL, MLB e NHL negli USA, ma soprattutto posiziona la MLS da qui al 2022 al pari dei più importanti campionati, identificando quelle che sono le aree su cui la MLS può agire per aumentare il valore del torneo:
- un maggior numero di franchigie (ad es. una seconda squadra a Los Angeles come già è per New York e il Miami di Beckham), dalle 20 di oggi a 24;
- almeno 5 nuovi stadi per accogliere e dare agli spettatori migliori esperienze e sfruttare l’indotto a livello commerciale;
- il miglioramento della qualità media delle rose, con investimenti sui giocatori di media fascia e soprattutto sui giovani (dopo aver investito sui top con la Designated Player o Beckham Rule);
- una capillare espansione a livello globale con Inghilterra, Europa e America Latina tra i mercati primari.
Ad oggi le squadre sono sicuramente protagoniste di una crescita importante sia nel lungo che nel breve periodo, tuttavia i team non si attestano ai livelli delle top squadre europee per fatturato, e relativi stream, costi per il personale, profittabilità, valutazione e valore del brand.
Anche il business MLS ha sicuramente un problema di valorizzazione (stadi ancora condivisi, expansion fee non equilibrate con la sostenibilità economico-finanziaria e espansione del marchio non internazionale): in valore assoluto, i contratti per i diritti TV e gli sponsor sono decisamente inferiori rispetto alle leghe europee. Nello specifico, il contratto MLS con ESPN, Fox e Univision è circa 1/10 del valore di quello della Serie A con Sky e Mediaset Premium, mentre è alquanto particolare che Adidas sia il solo fornitore tecnico per tutte le società attraverso un accordo decennale del valore di $ 150 mln totali (rivisto nel 2010 fino al 2018).
Molte voci, anche autorevoli come Deloitte sarebbero per rivedere anche il modello del torneo (chiuso vs promotion/relegation), mutuato dalle altre leghe USA, anche se ciò non sembra essere il “big deal” (dato che l’NBA pur essendo chiusa ha un prodotto di alta qualità).
Un’altra situazione potrebbe essere l’aumento del salary cap per evitare la troppa disparità tra i guadagni dei calciatori.
Tuttavia il vero nodo è riconducibile alla mancanza di un “prodotto” definito e di qualità, che limita gli investimenti e la generazione di ricavi.
La qualità tecnica, dei giocatori e degli staff tecnici, è sicuramente inferiore alle top leghe europee: ciò si riflette sia sul campo che fuori. A fronte di una cornice (marketing, sponsor, stadi e spettatori) di primo livello, il vero salto di qualità che porterebbe la MLS al livello delle leghe europee si poggia nell’aumento della qualità tecnica, in modo da trainare l’espansione globale e l’aumento dei ricavi. S’innescherebbe così un circolo virtuoso che garantirebbe alle società una crescita sostenibile.
Per fare questo si deve agire investendo a livello di academy (Generation Adidas è un punto di partenza) e scouting, seguendo l’approccio professionale e manageriale che è costato il posto a Jürgen Klinsmann. S’innalzerebbero i costi, ma sicuramente i benefici supererebbero il loro aumento per l’innalzamento del salary cap (che non porterebbe solo giocatori sul viale del tramonto) e per gli investimenti in scouting e academy.
Il confronto col calcio europeo
Per questa serie di considerazioni è comprensibile che:
- A livello di ricavi totali, la media è intorno ai $ 30 mln, paragonabile a quanto fatturato dalle “piccole” nostrane. Nemmeno i top club come LA Galaxy ($ 58 mln) e Seattle ($ 52 mln) sono al livello delle grandi italiane, ma in linea con club come Udinese e Palermo;
- Considerando il caso delle sponsorizzazioni di maglia (nel dettaglio degli stream di ricavi), gli accordi sono decisamente inferiori ai top club europei, quanto simili a club di medio-piccola dimensione (vedi tabella ricavi);
- Riguardo i costi del personale, seppur il commissioner abbia indicato una crescita di 5 volte sul 2007 e ci sia stata l’apertura ai Designed player (max 3 per squadra), il salary cap blocca grandi cifre per grandi giocatori ancora nel pieno della carriera (il massimo per un calciatore non Designed è inferiore ai $500.000, mentre in generale i costi per i tesserati sono ancora molto lontani dai top team europei);
- Anche sul fronte della valutazione societaria siamo su un piano notevolmente inferiore rispetto ai top team europei. Il valore medio di una franchigia si attesta a $ 185 mln paragonabile, secondo lo studio KPMG “Football Clubs’ Valuation: The European Elite 2016”, a club come PSV (31a in classifica, valutata $ 191 mln) e Fiorentina (32a, $ 170 mln). Anche considerando i top club USA come LA Galaxy e NY City (valutati rispettivamente $ 265 mln e $ 255 mln) i club similari sono Fenerbahçe (22a, $ 279 mln), Lazio (23a, $ 254 mln) e Galatasaray (24a, $ 245 mln);
- Infine, va ancora fatto un intenso lavoro sui brand sia della lega che dei team: nessuna delle franchigie è tra le top 50 brand della classifica di Brand Finance.
E’ quindi da rivedere l’idea della crescita e della sostenibilità del movimento USA alla luce di questi dati: seppure con costi molto contenuti, la MLS è ancora acerba dal punto di vista del business e non tutte le società chiudono col segno +.
E’ perciò necessario che tutti gli attori coinvolti (MLS, Soccer United Marketing, franchigie) lavorino in modo sistemico e manageriale per migliorare il prodotto. L’obiettivo (insieme ai brand che ruotano intorno alla lega) è l’espansione a livello globale per riuscire ad aumentare esponenzialmente il valore dei ricavi (e possibilmente le fonti), prendendo spunto magari dai best player dell’industry sportiva (Premier, Liga e Bundesliga in primis).
Solo così l’ambizioso obiettivo del commissioner MLS potrà essere centrato nei prossimi anni.