I calciatori sono poveri. Sembra una provocazione, ma non lo è: il 45% dei giocatori in tutto il mondo guadagna meno di mille dollari al mese, appena il 2% supera le cifre stellari che finiscono sulle prime pagine dei giornali. Se possibile, la fotografia scattata a livello globale da FIFPro e University of Manchester è più tetra di quella dell’Inps che una manciata di settimane fa aveva fissato al 9% il numero dei calciatori super-ricchi in Italia. L’indagine di FIFPro si basa su un questionario di 23 domande inviato a 13.876 calciatori che giocano in 87 leghe distribuite in 54 paesi.
Ci sono dentro europei, americani e africani. Il 21%, cioè 2.914 calciatori, guadagna meno di 300 dollari al mese e anche se bisogna calibrare la paga mensile al costo della vita nei diversi paesi, “a livello globale – scrive FIFPro – la maggioranza dei calciatori non riesce ad assicurarsi un futuro tranquillo al termine della carriera”. Ad esempio, in Europa il 32% dei professionisti incassa meno di mille dollari al mese; nel continente Americano si sale al 46%. In Africa le percentuali sono ribaltate rispetto al Vecchio Continente: sette calciatori su dieci hanno uno stipendio sotto i mille dollari mensili.
“Siamo molto frustrati perché dopo tutti questi anni nessuno vuole comprendere la posizione reale – ha spiegato Theo Van Seggelen, segretario generale di FIFPro – abbiamo bisogno di un pacchetto di misure per garantire standard minimi di lavoro per i giocatori di tutti i paesi, abbiamo bisogno di riformare le normative internazionale e di ripensare al futuro del calcio in un modo che sia economicamente sostenibile“.
Secondo FIFPro, che è una sorta di sindacato dei calciatori attivo nei cinque continenti, il mondo del lavoro che ruota attorno al pallone lo si può rappresentare con una piramide. In cima c’è l’Eldorado dei campionati più celebri d’Europa, Premier League, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1. In questi paesi – non tutti considerati nell’indagine che esclude Inghilterra, Spagna e Germania che avrebbero avuto “un impatto minimo sui risultati” – giocano i calciatori con maggior talento e con le migliori condizioni di lavoro. Alle loro spalle, il limbo delle leghe minori, dai campionati di vertice dei paesi calcisticamente emergenti – come gli Stati Uniti – alle varie serie B sparse nei più grandi mercati del calcio europeo.
Alla base della piramide la più grossa fetta di calciatori che navigano in acque non tranquille. Sono quelli che corrono dietro un pallone in Africa e nell’Europa dell’Est, per esempio, o in alcune realtà piuttosto complicate dell’America Latina. Sono calciatori, denuncia FIFPro, “costantemente sotto pressione, con precarie condizioni di lavoro”, vittime di “abusi contrattuali”.
Oltre a beccarsi il peggio per compenso, chi fa parte della base della piramide deve accontentarsi di poco anche in termini di durata contrattuale: più aumenta lo stipendio da pagare e più le società tendono ad allungare gli accordi, semplicemente per spalmare su più esercizi un costo di ingaggio oneroso. Chi guadagna davvero poco, invece, è costretto in media ogni 20 mesi a trovarsi una nuova squadra. La valigia in mano, il basso stipendio e la prospettiva di un futuro molto complicato fa sì che questa fetta di sportivi sia più vulnerabile al match fixing: chi guadagna tra 0 e 600 dollari ha il doppio delle offerte di combine rispetto ai colleghi ricchi-ricchi.