L’attuale situazione economico-finanziaria dell’Atletico Madrid origina dall’eredità lasciata dallo storico presidente Jesús Gil y Gil, padre dell’attuale socio di maggioranza e amministratore delegato, Miguel Ángel.
Il discusso ex sindaco di Marbella è stato croce e delizia del club rojiblancos: ha portato vari trofei nella bacheca dello stadio Vicente Calderón, toccando vette come nella stagione 1995-96, con il doblete Liga e Copa del Rey (con una squadra guidata in campo proprio da Diego Simeone), ma ha fatto vivere anche momenti bui come la retrocessione nel 2000 e il successivo tracollo finanziario.
Una gestione finanziaria “allegra” proseguita anche dopo la morte di Jesús Gil nel 2003. Sotto la guida di Enrique Cerezo (presidente e azionista del club con una quota scesa al 17,9% dopo l’ingresso nel capitale del Wanda Group) e di Miguel Angel Gil (amministratore delegato e principale azionista con il 48,81%) l’Atletico ha visto crescere in modo esponenziale il proprio debito, sia quello verso le banche, ma soprattutto quello verso la Hacienda, la Pubblica Amministrazione spagnola.
Al termine della stagione 2010/11, chiusa con un deludente settimo posto nella Liga, l’eliminazione ai quarti di finale in Coppa del Re e l’uscita nella fase a gironi in Europa League, ma con la vittoria della Supercoppa europea contro l’Inter il 27 agosto 2010, il debito lordo dell’Atletico Madrid ammontava a 514 milioni di euro, di cui circa 215 milioni nei confronti del fisco spagnolo (158 milioni al netto dei crediti fiscali).
Per cercare di fare fronte ai propri impegni con il fisco, nell’estate del 2011 l’Atletico Madrid è dunque costretto a cedere alcuni dei campioni che avevano contribuito alla vittoria dell’Europa League nella stagione 2009-2010 sotto la guida tecnica di Quique Sánchez Flores.
Da Madrid partono così il giovane e promettente portiere David de Gea, cresciuto nella giovanili del club, che viene acquistato dal Manchester United per 20 milioni, il brasiliano Elias, rilevato l’anno prima dal Corinthians, che finisce allo Sporting Lisbona per 8,5 milioni mentre Diego Forlan passa all’Inter per 5 milioni.
Ma l’operazione in uscita più importante è senza alcun dubbio la cessione di Sergio Aguero al Manchester City per 45 milioni. Complessivamente nelle casse dei colchoneros entrano circa 85 milioni, metà dei quali dovrebbero finire allo Stato spagnolo, che per evitare un tracollo finanziario del club ha nel frattempo acconsentito a spalmare su più anni il rimborso del debito fiscale.
Sembra la fine dei sogni di gloria per il club biancorosso. E invece, pur a fronte di queste difficoltà finanziarie, l’Atletico reinveste nella campagna acquisti circa 91 milioni, più di quanto incassato con queste importanti cessioni.
Nell’estate del 2011 arrivano a Madrid dallo Sporting Braga Pizzi e Silvio, pagati rispettivamente 13,5 e 7 milioni, dal Galatasaray viene prelevato Arda Turan per 13 milioni. Ma il colpo più sensazionale è senza alcun dubbio l’acquisto dal Porto per 40 milioni dell’attaccante colombiano Radamel Falcao.
Come è stato possibile tutto ciò? Come è stato possibile che l’Atletico, pur a fronte dell’impegno a ridurre progressivamente il debito verso l’erario (che ancora al 30 giugno 2013 era pari a circa 150 milioni di euro) abbia avuto la possibilità di investire nel mercato più di 90 milioni, allestendo così una squadra in grado di vincere nuovamente, questa volta sotto la guida di Diego Simeone, l’Europa League nella stagione 2011/2012?
Modello di business Atletico Madrid, il ruolo dei fondi di investimento
Se l’Atletico è riuscito in tutto ciò è stato anche grazie alla decisione di scendere a patti con i fondi di investimento, le cosiddette Third party ownership (Tpo) recentemente messe fuori legge dalla Fifa e dalla Uefa, e in particolare con la Doyen Sports Investment, braccio sportivo della società di investimento Doyen Group (ha sedi a Londra, Sanpaolo e Istambul), il portoghese Jorge Mendes, il potentissimo super-agente di Cristiano Ronaldo e Jose Mourinho, e con la Quality Sport Investments dell’ex ad di Manchester United e Chelsea, Peter Kenyon.
Secondo quanto ricostruito dalla stampa spagnola e in particolare dal giornalista di El Pais, Jose Marcos, il passaggio di Falcao dal Porto all’Atletico Madrid sarebbe stato possibile grazie al fatto che Doyen avrebbe avuto la titolarità sul 55% dei diritti di registrazione del calciatore. In altre parole, nonostante nel passaggio da Oporto a Madrid l’attaccante colombiano fosse stato valutato 40 milioni, la quota di spettanza dei colchoneros sarebbe stata pari circa 18 milioni, di cui solo 5 pagati inizialmente come prima rata al club lusitano.
Che Falcao, dopo poche stagioni, avrebbe dovuto lasciare l’Atletico Madrid per accasarsi in un club più ricco era dunque scritto. Così prevedeva la strategia del fondo Doyen.
Quando nell’estate del 2013 Falcao viene ceduto al Monaco del magnate russo Dmitry Ryboblev, per 60 milioni, circa 15 milioni finiscono nelle tasche del giocatore e di chi lo assiste (il gruppo Doyen). E gli altri 45 milioni? Apparentemente, visto che nei bilanci dell’Atletico Madrid non viene dato conto dei rapporti d’affari con il fondo d’investimento, dovrebbero essere finiti all’Atletico e utilizzati per saldare il debito residuo con il Porto e per la parte restante a copertura del debito con l’erario.
Solo apparentemente però. Nonostante nessuno lo abbia ancora confermato ufficialmente, in molti sono convinti che gran parte dei proventi della cessione di Falcao al Monaco siano finiti nelle casse del fondo Doyen.
La storia si ripete l’anno successivo con Diego Costa. Il centravanti brasiliano naturalizzato spagnolo è uno dei punti di forza della squadra di Simeone, che vince la Liga davanti a due superpotenze economiche come Real Madrid e Barcellona e conquista una storica finale di Champions League, arrivando a un passo dal trionfo sfumato all’ultimo minuto dei tempi regolamentari.
Nell’estate del 2014 Diego Costa viene ceduto al Chelsea per 38 milioni di euro. Nell’operazione un ruolo chiave lo riveste uno dei fondi della Quality Sports Investments.
Come ammesso pubblicamente dallo stesso presidente dell’Atletico Madrid dei 38 milioni pagati dal Chelsea per il centravanti nelle casse dell’Atletico Madrid ne sarebbero arrivati meno della metà.
La restante parte sarebbe stata suddivisa tra il fondo Quality Sports Investments, lo Sporting Braga (altro club partner del fondo Quality Sports) e Jorge Mendes (procuratore del giocatore), mentre una piccola parte sarebbe stata destinata quale contributo di formazione ai club in cui Costa ha militato tra i 13 e i 23 anni.
Oltre a Diego Costa partono anche Filipe Luiz, sempre con destinazione Chelsea per 20 milioni, e Adrian Lopez che passa al Porto per 11 milioni. Il club lusitano ne acquista però solo il 60% del cartellino, mentre il 40% viene finanziato da un fondo di investimento.
Ma alla corte di Simeone approdano Griezmann (30 milioni di euro) e Mandzukic (22 milioni), il portiere Oblak (16 milioni), Moya (3 milioni), Siqueira (10 milioni), Gámez (2,5 milioni), Raúl Jiménez (quasi 11 milioni), Correa (intorno ai 7 milioni). Dal Torino arriva anche Alessio Cerci per 16 milioni.
E anche in questa sessione del mercato il ruolo dei fondi di investimento resta cruciale. Lo è stato, ad esempio, per l’acquisto di Oblak dal Benfica, così come per quello di Cerci dal Toro, compreso il successivo prestito al Milan in cambio di Torres. Ma c’è chi sostiene che le tpo abbiano favorito anche l’acquisto di Griezman dalla Real Sociedad per una cifra che oscilla tra i 25 e i 30 milioni di euro.
Modello di business Atletico Madrid, l’alleanza col Wanda Group
La svolta avviene nel dicembre 2014. Da un lato la Fifa decide di mettere ufficialmente al bando le tpo: i contratti in essere saranno validi fino alla scadenza naturale, ma non sarà invece più possibile fare ricorso alla proprietà di terze parti a partire dalla sessione di mercato dell’estate del 2015.
Allo stesso tempo l’Atletico Madrid annuncia di aver versato al fisco spagnolo 111,4 milioni di euro. Di cui circa la metà come imposte correnti, mentre la restante parte è destinata a cancellare il debito fiscale pregresso che, al 30 giugno 2014, ammontava ancora a 155 milioni (di cui 118,9 a lungo termine e 39 milioni a breve termine).
In questo modo, i debiti con il Fisco scenderebbero ad una cifra che sfiora gli 80 milioni, da liquidare entro la stagione 2017-2018.
Ma non è tutto. In concomitanza con l’annuncio del rimborso di parte del debito col fisco, cominciano a diffondersi le prime indiscrezioni su un possibile ingresso nel capitale dell’Atletico del gruppo cinese Wanda guidato da Wang Jianling.
L’operazione si concretizza nell’arco di pochi mesi. Il primo aprile del 2015 Wanda Group diventa ufficialmente proprietario del 20% dell’Atletico Madrid sottoscrivendo un aumento di capitale riservato da 44,9 milioni di euro.
Gyl e Cerezo diluiscono le rispettive partecipazioni, ma trovano un partner con le spalle larghe in grado di sostenere il club sia dal punto di vista finanziario sia sotto il profilo delle relazioni commerciali: Wanda Group, che contestualmente all’ingresso nell’Atletico Madrid ha rilevato anche il controllo di Infront, è diventato infatti uno dei partner principali della Fifa di Gianni Infantino oltre ad essere la longa manus del governo cinese nel mondo del calcio internazionale.
E gli effetti benefici dell’alleanza con il gruppo cinese, che ha importanti interessi immobiliari a Madrid, non tardano a manifestarsi. Nei mesi scorsi Wanda Group ha investito altri 15 milioni per finanziare, attraverso l’acquisto dei naming rights, il centro di allenamento dei colchoneros e la nuova Academia del club, ribattezzata Wanda Atlético de Madrid Training Complex.