«Il Milan mi è stato letteralmente portato via da Silvio Berlusconi, io dalla vendita del Milan non ho preso una lira, tanto che dopo 6 mesi, quando venni intervistato dalla Gazzetta dello Sport, dichiarai che dicessero a Berlusconi di farmi un assegno di almeno ventimila lire, così poteva dire che lo aveva davvero acquistato».
Giuseppe Giussy Farina, ex presidente del Lanerossi Vicenza dei miracoli e del Milan dei bui primi anni ’80, oggi vive tra Lughezzano in provincia di Verona e Benicarlo, tra Barcellona e Valencia, in Spagna, dove ha vigneti e aziende di caccia e ad 82 anni ha ancora tanta voglia di dire la sua sul calcio di ieri e di oggi, rievocando in una lunga intervista al Giornale di Vicenza l’epopea della Lanerossi e de suo rapporto con Paolo Rossi fino agli anni al Milan e al burrascoso passaggio della società rossonera alla Fininvest di Silvio Berlusconi.
«E’ stata tutta una dinamica di natura legale», spiega Farina al Giornale di Vicenza rievocando quei difficili momenti del 1986, «Non avevamo pagato l’Irpef per 5, 6 mesi, ma allora bisogna anche ricordare che altre società erano in situazioni ben peggiori, purtroppo il mio vicepresidente Nardi nel frattempo era passato con Berlusconi ed ha portato alla luce questa inadempienza alla quale si sono appigliati per portarmi via il Milan, infatti così è stato».
La vicenda ebbe anche strascichi personali per Farina. «Fu emesso un mandato di cattura internazionale mentre ero in Sudafrica», racconta l’ex presidente rossonero, «allora i miei avvocati si accordarono col magistrato affinché venisse eseguito al mio rientro a Lugano, e così fu. Mi era stato promesso che non sarei stato arrestato, invece siccome ormai era sera e per di più era venerdì il giudice mi disse che mi avrebbe interrogato lunedì mattina, trattenendomi in caserma sino ad allora. Ricordo che il magistrato mi fece notare che proprio lì era stato detenuto anche Rizzoli al che io gli risposi: ma cheme ne importa, non se miga un onore finire nea prisòn dove che xe sta Rizzoli!».
Farina continua il suo racconto con la solita vena di ironia: «Iniziai lo sciopero della fame e lo feci per due giorni, il lunedì preoccupati mi vennero a prendere e mi portarono a mangiare alla mensa degli ufficiali, e lì finì la mia esperienza nella caserma di Lugano».
L’ex presidente del Vicenza e del Milan si sofferma anche sul calcio di oggi. «Una volta il calcio era più umano, più tecnico, oggi è più muscolare ma è adatto a questi tempi, comunque una cosa è certa: il calcio non morirà mai, perché chi lo sostiene è chi lo va a vedere, i tifosi, e a loro basta che la loro squadra vinca».
E sul futuro del Vicenza, che sembra essere nel mirino dell’ex presidente del Verona, Giambattista Pastorello. «Intanto (Pastorello, ndr) lo go inventà mì, non sapeva niente di calcio, lo conobbi perché aveva sposato la figlia del presidente del Rovereto di cui ero molto amico, di sicuro era sveglio e decisi di portarlo al Padova con me. Mi ha detto che gli hanno proposto di entrare nel Vicenza ma non mi sembra convinto».
«Una cosa avrei voluto sempre dirgli a Cassingena (l’attuale azionista di maggioranza del Vicenza, ndr): è inutile fare i campionati e perdere 2-3 milioni all’anno, non ha senso, meglio perderne 6 in uno solo, ma ottenere la promozione in serie A, perché solo così si possono risolvere i tanti problemi finanziari e dopo si può ripartire». Ma non è detto che chi investe tanti milioni poi ottiene la promozione, a volte è un bagno di sangue! «Il calcio non è fatto di soli soldi, c’è l’ambiente, ci vogliono gli industriali volenterosi, bisogna riuscire ad amalgamare tante cose, però a Vicenza questo è possibile perché c’è entusiasmo».