Real, Atletico, Rayo e Getafe: geografia del calcio a Madrid - Seconda parte

Nell’articolo di ieri, noi di C&F abbiamo messo a confronto Real Madrid, Atletico Madrid, Rayo Vallecano e Getate da tre punti di vista: valore della rosa, fatturato e monte ingaggi….

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Nell’articolo di ieri, noi di C&F abbiamo messo a confronto Real Madrid, Atletico Madrid, Rayo Vallecano e Getate da tre punti di vista: valore della rosa, fatturato e monte ingaggi. Quest’oggi completeremo il confronto tra le quattro squadre di Madrid spiegando: gli ingaggi dei rispettivi quattro allenatori, chi ha più nazionali nella rosa e perché non sempre si tifa Real Madrid.

Perché hanno l’allenatore più pagato

Se partiamo dall’assunto che i migliori in ogni campo sono quelli che riescono a spuntare il contratto più alto, anche in questa classifica abbiamo il dominio dal Real Madrid, con Carlo Ancelotti, uno degli allenatori più vincenti nella storia della Champions League, che percepisce uno stipendio netto che è più del doppio di quello del secondo allenatore, comunque sempre ben pagato (con 3,5 milioni netti l’anno), cioè il condottiero e capo popolo dell’Atletico Diego Pablo Simeone. Più staccati ancora una volta Getafe e Rayo, con Pablo Franco, allenatore del Getafe, che percepisce 1,2 milioni l’anno, mentre il “povero” Paco Jemez ne vede arrivare nelle proprie tasche soltanto 500.000.

Perché hanno una squadra ricca di campioni

Anche dall’analisi dei giocatori che sono convocati dalle proprie nazionali, il Real Madrid guida saldamente la classifica. Si avvicina in questo senso però molto l’Atletico Madrid, che offre solamente 4 giocatori in meno rispetto alle merengues. Rayo Vallecano con soltanto 3 nazionali sorpassa, ma di poco il povero Getafe con 2.

Perché non tifare il Real

Perché, come spesso accade nel calcio, a Madrid non si tifa soltanto la squadra che vince sempre o che ha in rosa i migliori giocatori del mondo. Si tifa per spirito di appartenenza, per l’orgoglio di rappresentare un credo, un insieme di valori ed una cultura, che ritrae e contiene in sé tutte le caratteristiche del nostro essere “io”.

Perché allora si è coniato il termine “cholismo”? Perché il suo Atletico è una squadra dell’animo cambattente, il più alto punto di rappresentazione e identificazione per ogni tifoso dell’Atletico. Cosa c’è di più bello di andare allo stadio ogni domenica e soffrire nel vedere la propria squadra giocare e combattere palla su palla contro qualsiasi avversario? Cosa c’è di più bello nel vedere 11 giocatori, che ogni volta sudano e onorano quella maglia a strisce verticali bianche e rosse? Che non escono mai coi capelli in ordine e anche se sono brutti da vedere, con la barba sfatta, magari nemmeno aggraziati nella corsa, sporcano quella benedetta camiseta di terra, di erba, di fango e di tutto quello che può esserci in un campo di calcio? Cosa c’è di più bello nel gioire per le vittorie ed essere tristi per le sconfitte? Tutti assieme. Come se si fosse un’unica entità, un unico “polmone” respirante. D’altronde all’ingresso del Vicente Calderon la scritta che campeggia è emblematica: “Juega cada partido como si fuera el ultimo”, gioca ogni partita come se fosse l’ultima. Un incitamento a dare tutto, la squadra in campo e il pubblico sugli spalti. “Si se cree y se trabaja se puede”, se ci si crede e ci si ammazza di lavoro allora si che si possono ottenere risultati e vittorie: questo è il manifesto del cholismo. Eccolo ancora lo spirito operaio dell’Atletico, lo spirito operaio di un quartiere modesto, di un quartiere di materassai, di colchoneros. Questo è il posto dove il randagio Diego Costa valeva dieci Ronaldo, dove il condottiero Arda Turan fa le scarpe a Bale o dove non si sognerebbero mai di scambiare Benzema per Mandzukic.

E’ lo spirito di appartenenza che fa fare il salto di qualità. Non i soldi. Ma questo ragionamento lo potete fare in qualsiasi quartiere di Madrid. Ed ecco allora che se entrate in un bar in zona Vallecas, i colori che vedete affissi all’ingresso sono il bianco ed il rosso. Quelli dell’Atletico Madrid? Assolutamente no. Quelli del Rayo Vallecano! Il poster appiccicato con un po’ di scotch ingiallito alla parete dietro il bancone dove il barista vi serve il classico “cafè y tostada” non vede raffigurati né Ronaldo né Bale né tantomeno James Rodriguez. E un poster rigorosamente del Rayo. Accanto ad esso ci sono cimeli vari, con tanto di magliette d’epoca autografate o sciarpe celebrative. Il Real Madrid è la squadra dei “fighetti”, è la squadra “posh”, la squadra della moda e delle copertine patinate. Dove si soffre, dove c’è da guadagnarsi il pane quotidianamente, dove si è in bilico continuamente e quotidianamente non c’è spazio per questi fronzoli, si bada sempre al sodo.

ECCO LA SOLUZIONE

Allora perché non tifare Real Madrid? Perché tutto questo, il Real Madrid, non ce l’ha. E non ce l’avrà mai. Non ha il sacrificio, l’unità d’intenti, la sofferenza dell’Atletico e di qualsiasi altra squadra della capitale. Non è rappresentativo di una parte di popolo, non rappresenta “la gente di” o “gli abitanti del quartiere x”. Il Real Madrid è mondiale, è globalizzato. Per questo forse vincente, ma asettico, non genera emozioni. Certo i trofei e i campioni fanno esaltare ed esultare la tifoseria, ma questa stessa tifoseria è borghese, abituata ai successi, forse presuntuosa, quasi con la puzza sotto il naso. Se pensiamo alla partita con lo Schalke ed ai fischi ad Ancelotti capiamo subito il divario che c’è tra le comunità, più che tra le squadre di Madrid. Chi mai si permetterebbe di fischiare una squadra ed un allenatore che hanno portato la decima Champions League dopo anni di sofferenze e umiliazioni e dopo che non più tardi di dicembre si è laureata campione del mondo? Nessuno. Perché la gente dell’Atleti sa che nella vittoria e nella sconfitta la squadra ha sempre dato tutto, nessuno mai afferma che i giocatori non hanno onorato la maglia o si sono sottratti ad un contrasto o non hanno fatto una corsa in più per aiutare il compagno. Un senso d’appartenenza spaventoso. E bellissimo.