C’è una regione calcistica che quest’anno come non mai sta mostrando una doppia faccia. La prima è quella felix, rappresentata da Sassuolo, Carpi e Bologna. La seconda, quella in difficoltà di Parma e Cesena. Differenze economiche e organizzative hanno creato un solco, un confine che molte di queste squadre potrebbero varcare a fine stagione, in uno o nell’altro senso. Gialloblu emiliani e bianconeri romagnoli sono in fondo alla classifica di A e il prossimo anno potrebbero ritrovarsi in cadetteria. Carpi e Bologna sono in lotta per la massima serie e i carpigiani, in particolare, dopo le parole di Lotito catturate in una telefonata con un dirigente di Lega Pro, potrebbero aver trovato nuovi stimoli per lottare per la promozione. E poi c’è il Sassuolo, che dopo un anno di assestamento ha persino scacciato l’incubo-Inter, battendola in casa e mettendo una discreta ipoteca sulla salvezza.
Sassuolo tra capitani d’industria, stadio e plusvalenze
A Sassuolo, fino a qualche anno fa, per vedere il calcio si andava nel piccolo stadio “Ricci”, dove la squadra locale era riuscita ad arrivare fino ai fasti della vecchia cara Serie C. All’inizio degli anni Duemila, al timone della squadra c’è Giorgio Squinzi, industriale tra i principali nel ramo del distretto delle ceramiche, di cui Sassuolo è “capitale”. Ha una passione per il ciclismo, Squinzi, tanto che arriva a finanziare una squadra professionistica. Ma dopo anni di successi, il patron decide di impiegare flussi di denaro nel pallone. Vuoi per una maggiore esposizione mediatica, vuoi per le vicende doping, Squinzi decide tramite la Mapei di prendere in mano i neroverdi, dopo averli già sponsorizzati negli anni Ottanta.
L’organizzazione è quella tipica di Mapei: struttura e know-how. Nel tempo, Squinzi investe sulla squadra e sugli stadi. Passando prima da Modena, quando la squadra è in B. Poi, investendo sullo stadio “Del Giglio” di Reggio Emilia, primo impianto privato in Italia destinato al calcio ed ereditato dal fallimento della Reggiana di Franco Dal Cin all’asta per 3,8 milioni di euro. Squinzi impone una gestione a metà tra il vecchio modello di grandi industrie dietro la squadra e il nuovo modello basato sugli impianti di proprietà. Il risultato dice che nel 2013 il Sassuolo ottiene ricavi per 20 milioni di euro, di cui 14 da Mapei (che è anche jersey sponsor). E nel 2014, come rivelato da Calcio&Finanza il rosso di 12 milioni avrebbe obbligato il Sassuolo Calcio a correre ai ripari e a ripianare interamente le perdite. Per fare questo il patron della Mapei avrebbe fatto ricorso alle riserve iscritte a bilancio, dato che il patrimonio netto era diventato negativo per 9,5 milioni. E poi ci sono le plusvalenze: dai 9 milioni per Berardi, ai 15 per Zaza.
Carpi: lottare per la A con 26mila euro di saldo dal mercato
A Bologna e Carpi sognano la massima serie. I rossoblu ci sono abituati, per il Carpi sarebbe la prima volta. E pazienza se per Lotito “Il Carpi in A sarebbe rovinoso”. Questione di appeal e diritti tv, secondo il patron della Lazio. Al quale il Carpi ha risposto con un fermo comunicato: “Forse è anche vero, come si legge sui media oggi e si sente chiaramente nella registrazione audio, che qualcuno non sappia “manco che esiste….il Carpi”. Noi, però, che piaccia o no, ESISTIAMO, e siamo, che piaccia o meno, una società, sì di provincia, ma che ha vinto 4 campionati in 5 stagioni, partendo dai dilettanti e, nell’attuale torneo, a 17 giornate dal termine, si trova solitaria in vetta, avendo maturato 10 punti di vantaggio sulla terza in classifica”.
Sì, avete letto bene: il Carpi è primo in Serie B. Con una rosa che al momento vale, secondo le più recenti stime di mercato di Transfermarkt, 17 milioni di euro (quella del Bologna ne vale 29). Per assemblarla, la dirigenza fino a questo momento ha speso 26mila euro: a tanto ammonta il saldo del calciomercato 2014/15, comprensivo delle due finestre di mercato estiva e invernale. Ovvero, i soldi spesi per il trequartista della Vis Pesaro Giacomo Ridolfi. Una filosofia già attuata nel primo anno di B, quando la squadra spese in tutto 200mila euro. Rispetto allo scorso anno, però, si intravedono già delle plusvalenze. Una su tutte, quella di Mbakogu: 1,2 milioni di euro, a campionato non ancora finito.
L’ad e socio di maggioranza è Stefano Bonacini della Gaudì, società leader nel settore abbigliamento. Come nel caso di Sassuolo, anche dietro il Carpi c’è un’industria che comanda un settore legato al tessuto locale. Carpi è famosa per il comparto maglieria, dove si fronteggia la crisi e il post-terremoto: il +4,4% dei primi 6 mesi del 2013 è un buon risultato, ma siamo ancora lontani dai 20 punti percentuali che solo l’export segnava 5 anni fa. Una crisi che non ha fermato l’impegno di Bonacini nel pallone: nel 2009, il Capri era in Eccellenza.
Bologna l’americana, tra social e nuovi progetti
La storia tra il Bologna e Joe Tacopina sembrava una sorta di farsa. Arriva, non arriva. Guaraldi che gli vende il club, poi invece fa affari con il re del caffè Zanetti, quindi l’insediamento ufficiale. Quando gira per i portici del centro, ha sempre la sciarpa rossoblu al collo e non si nega per un selfie. Perché la rinascita del club passa dall’immagine. Tutto è marketing, tutto è pubblicità. A cominciare dai social. Su Twitter, il Bologna è diventato attivissimo: dai video delle conferenze stampa ai selfie “di gruppo” dei ragazzi del settore giovanile, fino al lancio di promozioni dedicate ai tifosi. L’ultima, per San Valentino: per il match contro la Ternana, spiega il club, “ogni abbonato/a (esclusi platino e gold plus) avrà diritto all’acquisto di un biglietto per la sua/o partner, allo speciale prezzo di 1€, nello stesso suo settore”. Il tutto corredato da un hashtag, ovvio: #AlloStadioConChiAmi.
“Indossa un vestito a quadri e un orologio Panerai da 6.500 dollari. Ama il calcio italiano. Guida una Maserati. Possiede e conduce il suo yacht da 15 metri”: così il New York Times ha descritto Tacopina. Che per prendere il Bologna ha staccato subito un assegno da 12 milioni di euro, più 6,5 di aumento di capitale grazie al supporto di un altro italo-americano, il socio Joe Saputo. E mantenendo la squadra competitiva, con addirittura un saldo positivo nel mercato: +5 milioni di euro. La promozione della squadra in Serie A, con i relativi introiti, potrebbe dare slancio ulteriore al progetto della nuova dirigenza, che avrebbe già in mano un progetto per un nuovo stadio, da costruire ristrutturando l’attuale “Dall’Ara”, abbinato a un parco commerciale. Costo dell’operazione: 60 milioni di euro.
L’Emilia in rosso: Parma e Cesena
Della crisi del Parma, sappiamo tanto. Non tutto. Ad esempio: i soldi del nuovo patron Giampietro Manenti arriveranno? Chi saranno i nuovi soci di questa sua avventura? Da quali Paesi arriveranno? Domande alle quali speriamo di trovare risposta in questi giorni. Anche perché entro il 16 febbraio va onorata la prima tranche dei pagamenti, se non si vuole incorrere in una ulteriore penalizzazione in classifica che vedrebbe il Parma sprofondare quasi inesorabilmente verso la Serie B. Ed è dalla permanenza o meno in A che cambiano molte cose. Nella massima serie gli introiti sono maggiori e in caso di retrocessione, la nuova dirigenza dovrebbe ricalibrare il piano industriale di 5 anni. Un piano che dovrà far riemergere un club in difficoltà. I numeri parlano di un debito di oltre 100 milioni di euro e i revisori contabili che hanno analizzato il bilancio della “Eventi Sportivi”, ovvero la controllante del Parma Calcio, parlano di una situazione di “tensione finanziaria”. La tifoseria è stanca: la gestione Ghirardi ha lasciato un club in difficoltà e i nemmeno due mesi di gestione Taci hanno fiaccato ancora di più l’ambiente. Si veda, in questo senso, anche i recenti problemi di salute di Pietro Leonardi (leggi qui la sua conferenza stampa).
Scendendo verso il mare, si scopre un’altra squadra in difficoltà: il Cesena. Già nel 2013 il club aveva lamentato una posizione finanziaria poco stabile. A inizio febbraio di quest’anno, l’ex presidente del Cesena Igor Campedelli è stato deferito al Tribunale federale nazionale per aver sottratto risorse finanziarie del club a vantaggio della società controllante indiretta “Opera Spa” senza alcuna giustificazione economica per la società calcistica. Quanto fatto da Campedelli ha determinato “un progressivo ingente impoverimento economico-patrimoniale del Cesena e contestualmente aumentato la posizione debitoria” del club. Debiti che secondo la stampa locale ammonterebbero a 35 milioni di euro (25 dei quali tra erario e fornitori). Ci sarebbero anche circa 8 milioni di euro di credito verso la Lega di B, che però potranno essere incassati solo a partire dall’iscrizione al prossimo campionato.
“Da soli non ce la possiamo fare. Magari potremo riuscire a mettere pezze sul breve periodo, ma sul lungo no. Abbiamo bisogno che altri imprenditori entrino nella “Cesena&Co” e vengano a darci una mano. Perché l’Ac Cesena ha dato lustro e continua a darlo alla città, alla provincia e a tutta la Romagna, per cui chi ne ha tratto e ne trae beneficio, deve ricordarsi di chi ha fatto conoscere la città in Italia e nel mondo”, ha spiegato di recente il presidente del club romagnolo, Giorgio Lugaresi. Che il 13 febbraio, nel frattempo, è riuscito a pagare 4 milioni di euro di stipendi arretrati, relativi a ottobre, novembre e dicembre. Grazie alle cessioni di gennaio di Almeida, Coppola, Garritano e Mazzotta, il bimestre gennaio-febbraio costerà al club 3 milioni di euro di emolumenti. Da trovare in fretta.
Alessandro Oliva