La soffiata decisiva arriva quattro giorni prima del delitto. A spifferare che il piano di uccidere il capo ultrà Andrea Beretta è ormai pronto è «una persona molto vicina a Bellocco». È l’ultimo colpo, quello che dopo mesi di sospetti e paranoie fa capire che il finale è davvero vicino. «Voleva farmi fuori», racconterà Beretta ai pm Paolo Storari e Sara Ombra che lo interrogano mercoledì sera quando confessa di aver ucciso a coltellate l’amico rivale Antonio Bellocco.
E ammette – spiega Il Corriere della Sera – che si è trattato di un agguato improvvisato. Perché Bellocco era disarmato e la pistola con la quale la vittima gli avrebbe sparato un colpo all’anca era in realtà sua. Anche se, dice, c’è stata una colluttazione e Bellocco è riuscito a strappargliela di mano. I filmati delle telecamere riprendono il capo ultrà che dopo aver ferito una prima volta Bellocco ed essere caduto dalla portiera del guidatore, si rialza, gira intorno alla Smart, apre il lato passeggero e si allunga nell’abitacolo.
In quel momento, secondo procura e carabinieri, colpisce di nuovo Bellocco. Un frame decisivo che potrebbe allontanare l’ipotesi di una legittima difesa. E che accende il faro sul comportamento di due testimoni — usciti dalla palestra — che dopo aver sentito lo sparo piombano in cortile e cercando di aprire la Smart. Poi vedono Beretta “finire” la vittima sotto ai loro occhi.
Non solo. Uno dei due testimoni ha detto di aver sentito due spari e non uno, ma per il momento i carabinieri non hanno trovato segni a riprova di queste dichiarazioni. È certo, invece, che il capo ultrà dell’Inter sospettasse «almeno da giugno» di essere messo da parte. Una manovra occulta dell’amico Bellocco che aveva allungato le sue mire fino ai vertici della Curva Nord.
«Io ho cercato fino all’ultimo di tenere fuori i calabresi dalla curva», ha ripetuto Beretta in questi giorni definendosi una sorta di baluardo contro le infiltrazioni mafiose. Ma se davvero esiste una torta che faceva gola al clan della ‘ndrangheta, significa che quella torta è stata a lungo nelle mani di Beretta e soci. «Noi ultrà siamo delinquenti, ma quelli sono peggio».
Dalla Calabria, intanto, sono arrivati a Milano diversi familiari della vittima. Almeno quelli che non sono in carcere. Il timore di una vendetta immediata agita le cosche. Nella piana di Gioia Tauro, tra condoglianze e cordoglio, i clan più influenti della Calabria si starebbero già muovendo per «raffreddare gli animi». Una faida adesso avrebbe effetti nocivi sugli affari di tutti. Ma la morte del rampollo di un casato così importante non potrà restare impunita.