Articolo a cura dell’avvocato Giulio Coraggio, Partner DLA Piper.
Recentemente, i riflettori si sono accesi sulla vicenda delle scommesse illegali che hanno coinvolto alcuni calciatori, sollevando una serie di complesse questioni legali che meritano una riflessione approfondita.
L’attenzione dei media si è concentrata principalmente sulle possibili sanzioni nell’ambito della giustizia sportiva, con la minaccia di sospensioni più o meno prolungate dall’attività sportiva per i giocatori coinvolti.
Tuttavia, si è discusso meno della questione della possibile illegalità ai sensi della normativa sui giochi d’azzardo. Emergono preoccupazioni riguardo al fatto che questi giocatori abbiano scommesso su siti di gioco privi di concessione per il gioco a distanza rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM). Tale comportamento è sanzionato dalla Legge 401/1989, che prevede pene sia per gli operatori di gioco che per i giocatori.
In particolare, l’articolo 4.3 della Legge 401/1989 stabilisce che “Chiunque partecipi a concorsi, giochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al comma 1 [ossia, senza una concessione ADM], fuori dai casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da lire centomila a lire un milione.” Pertanto, oltre alla rilevanza limitata delle sanzioni, si tratta di una violazione penalmente significativa, che potrebbe addirittura sfociare in reati più gravi, a seconda delle circostanze emerse dalle indagini.
Un altro elemento da considerare è che i nomi a dominio dei siti di gioco a distanza privi di concessione ADM sono generalmente elencati tra i siti inibiti sul sito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In tal caso, a meno che un giocatore nasconda il proprio indirizzo IP mediante una VPN, non può accedere ai nomi a dominio inibiti nel territorio italiano, poiché gli Internet Service Provider ne bloccano l’accesso. Sorprendentemente, sembra che i siti di gioco coinvolti nello scandalo delle scommesse illegali non fossero, al momento della contestazione, tra quelli inibiti.
Un altro aspetto peculiare della situazione è che i calciatori hanno ammesso di aver accumulato debiti milionari su questi siti di gioco. Tuttavia, la maggior parte dei siti di gioco proibisce espressamente il gioco a debito e consente solo metodi di pagamento come le carte di credito o i voucher. Questo solleva ulteriori domande sulla natura delle transazioni finanziarie avvenute su tali siti.

Tutto ciò mette in evidenza due aspetti significativi:
- Le attività illegali di gioco coinvolgenti i calciatori vanno oltre la semplice scommessa su siti privi di concessione ADM, e potrebbero comportare conseguenze legali più gravi; e
- Il sistema di regolamentazione del gioco legale italiano sembra non essere stato in grado di prevenire la popolarità di questi siti illegali, sollevando dubbi sulla sua efficacia.
Negli ultimi anni, sembrava che il mercato dei siti di gioco illegali si fosse notevolmente ridotto, ma ora assistiamo a una rinascita, con un mercato che si stima valere ben 25 miliardi di euro. Questo potrebbe essere attribuito all’introduzione del divieto di pubblicità del gioco, che ha parificato in termini di comunicazioni al pubblico i siti legali ed illegali. Entrambi sono soggetti a restrizioni pubblicitarie, e i siti cercano spesso soluzioni non completamente trasparenti per raggiungere i loro clienti.
Questo scenario sta danneggiando gli operatori di gioco legali che potrebbero essere accumunati ai siti di gioco illegali quale conseguenza della pubblicità negativa conseguente allo scandalo. La situazione potrebbe poi aggravarsi ulteriormente con l’imminente assegnazione di nuove concessioni a distanza, che richiederanno un costo iniziale di 6 milioni di euro. Ciò potrebbe spingere molti siti di gioco a operare nell’illegalità per sopravvivere, rendendo urgente una revisione del sistema di regolamentazione per affrontare questa crescente sfida.
Ci troviamo in un momento cruciale per il futuro del settore del gambling e betting in Italia. La speranza è che il Governo comprenda l’esigenza di trovare un giusto bilanciamento tra l’esigenza di regolare il mercato e quella di consentire agli operatori di svolgere il proprio business.