Per capire le mosse del Governo in vista dell’autunno bisogna tenere d’occhio anche il percorso parallelo della riforma fiscale firmata dal vice ministro dell’Economia Maurizio Leo approvata a inizio del mese e pubblicata in Gazzetta alla vigilia di ferragosto. Una parte importante dei tagli alle tasse per i redditi più bassi passerà proprio dai decreti attuativi ai quali sta lavorando il Comitato tecnico presieduto dallo stesso Leo e che ha diviso il lavoro tra tredici commissioni di esperti per materia.
Il piatto forte della riforma fiscale è la “flat tax”, che però è un obiettivo della legislatura. Per il prossimo anno dovrebbe essere però attuata una prima riduzione delle aliquote fiscali, facendo scendere da quattro a tre gli scaglioni. L’ipotesi principale, scrive Il Messaggero, è quella di eliminare l’aliquota del 25% sui redditi fino a 28mila euro, creando un maxi primo scaglione al 23%. Il costo di questa misura non sarebbe eccessivo, probabilmente anche meno di 4 miliardi. Ma neanche gli effetti sulle buste paga.
A 20mila euro di reddito lo sgravio sarebbe di 180 euro l’anno, 15 euro al mese. A 28mila euro si salirebbe a 260 euro l’anno, poco più di 21 euro al mese. A questa misura, ovviamente, si sommerebbe il taglio del cuneo contributivo per i redditi fino a 35mila euro. Uno sconto del 6% sui versamenti Inps per chi guadagna fino a 35mila euro, che sale al 7% per chi sta sotto i 25mila euro. In questo caso l’impatto sulle buste paga è più rilevante: va dai 75 euro netti per chi guadagna 25mila euro, ai 108 euro netti mensili per un lavoratore che guadagna 35mila euro lordi l’anno.
Non solo. Nella delega fiscale c’è anche un’altra misura che, invece, potrebbe avere un impatto più rilevante sulle buste paga: la detassazione delle tredicesime per i redditi medio-bassi. Una misura che ha anche il pregio di poter essere facilmente comunicata e compresa dai lavoratori. L’unico problema è che se il taglio delle tasse sulle tredicesime fosse inserito in manovra, partirebbe dal prossimo anno. Bisognerebbe dunque aspettare fino a dicembre 2024 per poterne vedere i benefici nelle buste paga. Da qui l’idea allo studio, di anticiparlo già quest’anno, il 2023.
Nei conti pubblici ci sono le ormai mitologiche “pieghe”. Soldi stanziati e mai spesi che, generalmente, saltano fuori a fine anno proprio per finanziare le misure necessarie al governo di turno. Lo scorso anno, per esempio, l’assegno unico è costato meno del previsto e lo Stato ha risparmiato un miliardo e mezzo di euro. Quest’anno l’andamento non sarebbe tanto diverso. Il governo così riuscirebbe a mettere più soldi in tasca ai lavoratori già a Natale, con l’effetto magari anche di spingere un po’ più i consumi verso l’alto.