Gianpaolo Calvarese, ex arbitro di serie A con all’attivo più di 300 gare nella massima serie considerando tutti i ruoli (arbitro, VAR e arbitro addizionale), è ora imprenditore nell’azienda di famiglia che produce integratori sportivi naturali. Inoltre ogni mercoledì sera di Champions League è parte della scuderia di Amazon Prime Video per commentare nella Var Room il match trasmesso dal broadcaster in Italia dal broadcaster statunitense.
L’ex direttore di gara teramano ha accettato l’invito di Calcio e Finanza e ha scritto per questa testata un articolo sul caos arbitrale accaduto nella gara tra Juventus e Salernitana.
“Qualsiasi gara di serie A ci può uccidere mediaticamente. Possiamo finire sulla prima pagina del The Guardian. Ma io spero, perché vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro, che non si parli dell’arbitro”.
Iniziavo sempre così il mio briefing con la squadra arbitrale prima di una partita. Poteva essere un match di cartello o meno, non aveva importanza. Con queste parole volevo far capire ai miei assistenti e colleghi che occorreva tenere alta la concentrazione per gli oltre 90 minuti di una partita. Perché appunto, un singolo episodio, magari anche negli ultimi secondi di un match, può farti “morire” mediaticamente.
In realtà il lavoro degli arbitri è quello di prendere decisioni – anche sotto stress e pressione – e questi, in realtà, vengono pagati dalla FIGC in due modi: una parte variabile a seconda della partita, della divisione per la quale si disputa quel determinato match o per il ruolo svolto (Serie A, B, VAR, Quarto uomo). E una parte fissa per la cessione dei diritti d’immagine, diversa in base all’esperienza del direttore di gara.
E parlando di lavori difficili e diritti d’immagine, il signor Matteo Marcenaro, laureato in Giurisprudenza con Master alla Bocconi ma che di mestiere fa l’arbitro in serie A, ha conosciuto suo malgrado la popolarità.
Alla sua terza presenza in questo campionato, la sesta in carriera nella massima serie, il fischietto della sezione di Genova si è ritrovato su tutte le prime pagine dei quotidiani sportivi nazionali ed internazionali. Il suo caso infatti ha valicato l’Italia diventando materia di cronaca per molti giornali sportivi europei che vanno per la maggiore, non ultimi i più seguiti in Spagna (Marca) e in Germania (Bild).
Marcenaro così è passato da essere un arbitro semisconosciuto a uno dei volti più visti nel panorama calcistico italiano ed europeo; in questi giorni il ragazzo sentirà tanti occhi addosso, ma di certo non nella maniera a lui più gradita.
Ma, al di là di questo, ora la domanda più importante è che cosa a livello sportivo, succederà al fischietto della sezione di Genova.
Premessa. Gli arbitri, nella loro “campana di vetro”, non possono spiegarsi e difendersi.
Ma bisogna chiarire che non è vero che un direttore di gara non rischia nulla in caso di errore.
Se un fischietto viene fermato infatti, supponiamo, per tre domeniche nella massima serie, andrebbe a perdere ben 12mila euro, (come nel caso di Pairetto per gli errori in Lecce – Monza, che verrà fermato e non rivedrà i campo della massima serie almeno per tre giornate…) visto che ogni gara di serie A viene pagata 4mila.
Restano i 30mila euro annui (pagati in 3 tranche) di diritti d’immagine. Cifra che spetta a un arbitro con meno di 50 gare nella massima serie, come nel caso di Marcenaro. Una quota che è pari a 20mila euro se si è invece ai primi anni, mentre sale oltre i 30mila se si superano le 50 partite in Serie A o si diventa arbitri internazionali.
Di certo quindi un direttore di gara ha tutto l’interesse a restare concentrato e a non sbagliare. Ma torniamo a noi.
Cosa rischia Marcenaro? L’AIA ha già specificato che non si tratta, nella fattispecie, di un vero e proprio errore arbitrale, in quanto il VAR non aveva a disposizione tutte le immagini e i video riferibili alla posizione di Candreva. Difficilmente quindi Marcenaro verrà fermato, ma verosimilmente verrà tenuto lontano dai riflettori almeno per un po’ di tempo. Lontano dai match di cartello e, si spera, dalla prima pagina del The Guardian.
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