Mantovani, FIGC: «Il professionismo femminile è una grande conquista»

Il punto di vista di Ludovica Mantovani, Presidente del Consiglio Direttivo della Divisione Femminile della FIGC, sul passaggio al professionismo del calcio femminile italiano.

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INTERVISTA
Da sx Nadine Kessler, chief of women's football della UEFA e Ludovica Mantovani, Presidente del Consiglio Direttivo della Divisione Femminile della FIGC

Prosegue l’impegno di Banca Ifis nel mappare il comparto dello sport system italiano e la sua evoluzione nel tempo. Nella cornice dell’Osservatorio sullo Sport System, l’Ufficio Studi di Banca Ifis ha scelto di analizzare quella che si può definire una pietra miliare dello sport in generale e del calcio in particolare: il passaggio al professionismo per il calcio femminile.

Per comprendere al meglio la portata del fenomeno e inquadrarne i cambiamenti sia per le atlete che per le società, è stata raccolta la testimonianza di Ludovica Mantovani Presidente del Consiglio Direttivo della Divisione Femminile della FIGC, che è stata artefice e testimone di questo momento storico e di cui riportiamo integralmente l’intervista.

Con la data del 1° luglio è iniziata ufficialmente l’era del calcio professionistico femminile, anche se a livello di prestazione delle atlete vi siamo dentro da un bel pezzo. Cosa possiamo aspettarci nelle prime battute?

In questa fase stiamo completando le iscrizioni al campionato: è un momento cruciale nel quale stiamo assistendo i club che si trovano a fronteggiare un passaggio delicato con una burocrazia che è cambiata ma che possono contare su accorgimenti e investimenti da parte della Federazione. Ne è un esempio la camera di compensazione: le dieci squadre che militeranno in Serie A nella prossima stagione avranno a disposizione questo strumento che permetterà di gestire al meglio i trasferimenti all’interno del nostro territorio.

Siamo orgogliosi di iniziare questo campionato professionistico: c’è molto lavoro dietro le quinte, molta disponibilità da parte di tutti per trovare soluzioni condivise per l’applicazione delle NOIF come per qualsiasi problematica che dovesse sorgere. L’inizio del campionato sarà dunque un momento molto atteso, perché quando vedremo le atlete scendere in campo sapremo che tutti i processi si sono si conclusi nei tempi dovuti.

A proposito di scendere in campo: sono in corso i Campionati europei di calcio femminile. Come si colloca l’Italia e il lavoro della FIGC nello scenario europeo? Rappresentiamo un “nobile” precedente?

I campionati spagnoli di Primera e Segunda Division di calcio femminile (serie A e B per intenderci) sono diventati professionistici quest’anno. Hanno siglato l’accordo collettivo da pochi mesi mentre noi siamo in fase di stesura. Un Paese che abbiamo naturalmente osservato da vicino, visto il percorso parallelo.

La grande differenza sul piano sportivo è la nostra scelta di aver diminuito a 10 le squadre della Serie A dalla prossima stagione, certi che bisogna ancora migliorare l’appeal della nostra competizione di punta per attrarre collaborazioni strategiche e necessarie per la nostra sostenibilità nel tempo.
Nei campionati d’élite in Inghilterra le calciatrici sono già professioniste così come in Svezia. In Francia, come in alcuni altri Paesi, vige un modello misto, perché la legge lo permette, dove militano nello stesso campionato atlete professioniste e dilettanti. Spostandoci a livello mondiale oltre al riferimento degli Stati Uniti, va segnalata l’Australia, pioniera del professionismo dal 2008. Interessante poi è l’esempio del Giappone che ha scelto di lanciare dall’ultima stagione la Women’s l’Empowerment League, sul modello NBA, senza promozioni e retrocessioni.

Entrando nel dettaglio l’avvento del professionismo garantirà alle atlete un contratto che vuol dire soprattutto contributi e un sistema di previdenza, con un salario minimo di 26mila euro lordi. È pensabile un meccanismo progressivo nel corso degli anni?

Partiamo da un concetto che non deve essere in alcun modo banalizzato: quello che si è ottenuto è stato una grandissima conquista. Quando parliamo di salario minimo si parte dai i minimi federali in vigore per la Lega Pro Maschile: un traguardo raggiunto grazie alla proficua discussione tra club e associazione calciatori e con una gradualità studiata ad hoc per la fascia d’età che rientra nell’addestramento tecnico.

È un passaggio per noi importantissimo perché ad oggi alcuni accordi economici in Serie A femminile potevano essere depositati con importi minimi, se non addirittura a zero. L’obiettivo auspicabile è la creazione di un sistema che sia in grado di generare ricavi e dunque stipendi più importanti, che naturalmente percepiscono già oggi le top player. L’appello, che è stato ascoltato da tutto il Consiglio Federale, era di poter avere pari tutele e pari diritti: essere riconosciute come professioniste, per le calciatrici, voleva dire in primo luogo riconoscere il loro mestiere.

Lato societario, i club assisteranno a un aumento dei costi importante, con un raddoppio già nel primo anno…

Proprio per questo la gradualità su due anni che abbiamo studiato per le più giovani è importante perché i nostri club son molto differenti tra di loro; per alcune realtà meno strutturate cambiare i meccanismi dall’oggi al domani può essere traumatico.
In Serie A gran parte delle squadre hanno un cappello societario maschile (8 su 10) e per queste il passaggio potrebbe essere più facile ma nella cadetta militano 16 squadre, di cui la maggior parte sono dilettantistiche. I contributi FIGC sono normati e finalizzati a mettere in pratica azioni dirette principalmente sul settore giovanile, i fondi del governo sono i gran parte distribuiti a fronte di interventi sulle strutture, che devono migliorare l’appeal. Tutto il sistema del calcio femminile deve continuare a crescere ed essere sostenibile nel tempo dal punto di vista economico finanziario.

Cosa sta facendo la Federazione e come si stanno attrezzando i club per attutire l’impatto del professionismo sui loro bilanci?

Lato Federazione, con la vendita dei media rights delle competizioni d’elite, dal 2019, stiamo lavorando per accrescere la visibilità e l’interesse in Italia e all’estero; tutte le partite del campionato sono visibili settimanalmente su OTT ed il top match va in onda su un canale lineare rappresentano un’importante vetrina a cui si affianca la spinta degli eventi organizzati dalla Divisione come: la Supercoppa, la Coppa Italia e la Final Four Primavera.

La Divisione Calcio Femminile ha inoltre internalizzato un team social media raggiungendo numeri notevoli con l’accordo strategico siglato tra la Divisione Calcio Femminile-WSC Sports per la creazione in tempo reale di clip video. I risultati che abbiamo avuto nelle fasi finali del campionato ci stanno dando ragione sugli investimenti.

Come funzionerà il meccanismo di ridistribuzione dei diritti televisivi? Ci saranno dei cambiamenti?

Si prosegue con il contratto in essere, con la centralizzazione dei diritti che vengono distribuiti ai club secondo la volontà dell’assemblea. Un punto che mi dà molta soddisfazione è la decisione voluta dai club di Serie A e molto corretta a mio avviso, di dare parte degli introiti alla Serie B.

Il professionismo, almeno in questa prima fase, interesserà la sola Serie A. Come saranno si regoleranno i rapporti con la Serie cadetta?

La regolamentazione dei prestiti tra le due Serie è stata fondamentale per l’equilibrio del sistema. Un problema da non sottovalutare sarà la gestione delle retrocessioni. Con il passaggio in Serie B si svincolano automaticamente le giocatrici e quindi per i club l’investimento fatto in termini di “capitale umano” potrebbe andare perduto. Dobbiamo continuare a tutelare il sistema per non compromettere il patrimonio di costruzione realizzato dai club negli anni.

Le calciatrici diventano un vero e proprio asset dei team, quali saranno gli effetti sul calciomercato?

Che le ragazze siano un asset per le società lo penso da sempre ma con il professionismo entra in gioco una tutela anche per i club. In un campionato professionistico non si potrà “sottrarre” un’atleta a metà dell’anno, come era possibile fare fino ad oggi perché vincolata da un contratto. Quindi è vero che i club sosterranno costi più onerosi ma avranno la titolarità dell’atleta e la possibilità di discutere contrattualmente delle cessioni.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una crescita importante dei tesseramenti con un tasso di crescita del 12,37% e oltre 31mila atlete tesserate. Un risultato trainato da molti fattori, quali sono stati i principali?

Abbiamo stilato la strategia di sviluppo del calcio femminile con un documento che guarda al 2025 e il nostro obiettivo è raddoppiare le giovani tesserate. I risultati raggiunti finora sono figli del grande lavoro del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC sul territorio. Dal 2015 è scattata l’obbligatorietà per i club maschili di avere settori giovanili femminili fino ai 17 anni; si è cominciato con le under 12 e adesso si arriva anche alle under 8, dove si fa didattica calcistica.

La missione della Federazione è chiara: vogliamo che le bambine possano scegliere di giocare a calcio, abbattendo preconcetti e barriere culturali, scegliendo semplicemente uno sport dove giocano e si divertono.
Il calcio ha una missione sociale, e tutto quello che stiamo facendo è un segnale importante per quello che la popolarità del nostro sport può dare al nostro Paese.