Lo Stadio Olimpico: dalle notti magiche a Euro 2020

Analisi a cura di arch. LUCA FILIDEI

(Master PCGdIS)

Basta la parola “Olimpico”, per noi italiani, a stabilire un rimando alle notti magiche di Italia…

Roma acquisto Olimpico

Analisi a cura di arch. LUCA FILIDEI

(Master PCGdIS)

Basta la parola “Olimpico”, per noi italiani, a stabilire un rimando alle notti magiche di Italia ’90. La canzone di Edoardo Bennato e Gianna Nannini risuona esattamente come allora, magari spingendoci a ripensare, non senza rimpianti, a quella finale non conquistata, alla folle lotteria dei calci di rigore, che se avesse arriso agli Azzurri proprio a quello stadio ci avrebbe condotto. La storia, lo sappiamo bene, è andata diversamente. Ma ora il principale impianto di Roma torna ad essere il teatro della nazionale italiana, palcoscenico di quel Campionato Europeo di calcio rimandato di un anno.

Sarà proprio la partita di stasera, Italia-Turchia, un match che attendiamo da mesi, ad inaugurare Euro 2020: un grande evento dalla formula particolare, non sotto l’aspetto del regolamento, ma piuttosto per l’idea di svolgerlo in tutto il continente, avviando un modello itinerante che promuove analisi, comparazioni, trasmissione di nuovi trend. Per l’Italia si tratta del primo post-Mondiale 1990, perché trattando di calcio, ed escludendo le competizioni Uefa per club, sono proprio le notti magiche l’ultima grande emozione organizzata nel Bel Paese.

Ma cosa è cambiato da allora? In effetti, l’obiettivo di tale articolo coincide con la volontà di commentare una situazione nazionale che, se comparata alle esperienze estere, può apparire critica ma anche potenziale opportunità per un più interessante futuro.

L’organizzazione di un grande evento, in fondo, deve avere la finalità di incrementare il valore di una lega nazionale, di una città e, nel migliore dei casi, addirittura di un Paese. Deve necessariamente rappresentare un forte volano per l’economia, utilizzando le infrastrutture sportive come motore di una riqualificazione tout court. Italia ’90, lo sappiamo, poteva costituire proprio questo, ma dopo circa un trentennio, un’analisi oggettiva ci pone davanti ad uno scenario ben lontano da ciò è accaduto in altri Stati.

Francia, Germania, Olanda, Svizzera, Inghilterra si delineano come modelli non solo per la gestione dell’evento, ma soprattutto per la previsione della delicata fase post. Il caso Delle Alpi (Torino, 1990), demolito nel 2009, rappresenta l’emblema di tale problematica, ugualmente al San Nicola (Bari, 1990), costantemente minacciato dal degrado. Lo stesso Olimpico (Roma, 1953), teatro delle Olimpiadi 1960 e praticamente ricostruito tra il 1987 e il 1990, costituisce, con delle differenze, l’esito di un Mondiale che poteva generare maggiori esternalità positive, avvicinando le infrastrutture sportive italiane a quel concetto di stadio moderno, aperto, delle volte flessibile che ormai si stava avviando nel resto d’Europa.

Tuttavia, come scritto precedentemente, l’Italia offre anche delle potenzialità che, proprio le comparazioni promosse da Euro 2020, possono stimolare, avviando un processo finalizzato a sanare quel gap che ci distanzia dai più eccellenti modelli esteri. Tra le 11 infrastrutture sportive presenti nel Campionato Europeo di calcio di quest’anno, ad esempio, soltanto Hampden Park (Glasgow, 1903) risale ad un periodo antecedente la costruzione dell’Olimpico, con le restanti 9 strutture che sono state inaugurate, in media, dopo il 2007. Ciò evidenzia una prima notevole differenza, fotografando una situazione che, nel nostro Paese, viene definita da una sostanziale staticità interrotta solo da qualche eccezione.

Allianz Stadium (Torino, 2011), Mapei Stadium (Reggio Emilia, ristrutturato tra il 2013 e il 2016), Dacia Arena (Udine, rinnovata tra il 2013 e il 2016), Benito Stirpe (Frosinone, 2017) e Gewiss Stadium (Bergamo, attualmente sottoposto ad un rilevante restyling) rappresentano gli unici impianti moderni: un dato che in parte spiega la complicata fase della Serie A, ben lontana, considerando l’affluenza media (27.608 spettatori), da campionati come la Premier League (39.345 e 96,8% di riempimento) e la Bundesliga (40.867 e 92,2% di riempimento).

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Del resto, analizzando più in dettaglio i dati della massima competizione di calcio per club italiani, si nota come sia proprio l’Allianz Stadium a raggiungere uno delle più elevate percentuali di riempimento (96%), seguito proprio da Gewiss Stadium e Dacia Arena, con lo Stadio Olimpico che si attesta invece al 56% (media tra il riempimento riportato da AS Roma e S.S. Lazio).

Un trend, non certo particolarmente eccellente, che però promuove ulteriori analisi. Infatti, Euro 2020 ci consente di individuare determinate “correnti” che possono incentivare un rapido cambiamento anche in Italia. Ormai, in una logica sempre più afferente al concetto di globale, Paesi prima lontani dal livello della Serie A (inteso come seguito e livello infrastrutturale), hanno cominciato un progressivo avvicinamento. La Ligue 1, classificata in quinta posizione, appena dietro all’Italia, rappresenta un campionato in ascesa, esito del buon utilizzo di Euro 2016.

Nonostante il Mondiale ’98, che aveva condotto alla realizzazione di impianti come lo Stade de France (Saint-Denis, 1998), i francesi hanno comunque promosso un ulteriore sviluppo del proprio parco infrastrutturale, inaugurando ben 4 impianti (Groupama Stadium, Matmut Atlantique, Pierre Mauroy e Allianz Riviera) e procedendo al rinnovamento delle restanti sedi. La stessa Ungheria, interessata da Euro 2020 per l’organizzazione di quattro matches, risulta una delle nazioni leader per quanto concerne gli investimenti nel campo degli stadi. La Puskás Aréna (Budapest, 2019) è solo il gioiello di un Paese che, dal 2011 ad oggi, ha costruito o rinnovato 9 impianti sui 12 presenti nella OTP Bank Liga 2020/2021, la massima competizione calcistica per club ungheresi.

Un trend in parte avviato anche in Azerbaijan con l’inaugurazione del Bakı Olimpiya Stadionu (Baku, 2015), l’impianto nazionale, ma anche di alcuni stadi della Topaz Premyer Liqası come la Bakcell Arena (Baku, 2011) e l’ASK Arena (Baku, rinnovato tra il 2008 e il 2013). Tale sviluppo, ovviamente più strutturato in Paesi come l’Inghilterra, l’Olanda e la Russia, per citare tre nazioni interessate da Euro 2020, definisce però il panorama contemporaneo, caratterizzato da campionati già affermati comunque decisi a rafforzarsi e Paesi ambiziosi di entrare stabilmente nel circus europeo.

Sfruttare le occasioni fornite da grandi competizioni (anche future) è dunque il leitmotiv di molte riqualificazioni, nonostante le stesse, se progettate non efficacemente, possano generare anche esternalità negative. Italia ’90, da molti criticata, è del resto accompagnata da altre grandi organizzazioni che hanno disseminato white elephants in tutto il mondo. Sudafrica 2010, Brasile 2014 e, in parte, Portogallo 2004 ne sono un esempio, principalmente dovuto ad una progettazione e gestione non allineata alle esigenze della contemporaneità. Proprio l’Olimpico, ristrutturato per i Campionati Mondiali di calcio, idealizza questo modello, definendo una struttura polisportiva certamente poco adatta alle tendenze che erano già in atto.

Uno stadio dotato di un singolo ma molto esteso anello a circondare campo da gioco e pista d’atletica, appare decisamente lontano dai principi (non il progetto in sé) che hanno delineato, per esempio, la Johan Cruijff Arena, inaugurata soltanto 6 anni più tardi e ancora attuale. E la medesima logica può essere applicata in una comparazione con il simbolo dei Mondiali ’98: lo Stade de France. In tal caso, l’aspetto polisportivo del primo impianto francese viene aggiornato con una flessibilità al tempo particolarmente innovativa, come lo spostamento di una parte di tribune per garantire il migliore layout a seconda dell’evento organizzato (calcio o atletica).

Due casi, relativamente vicini al rinnovamento dell’Olimpico, in grado di trasmettere la costante evoluzione degli spazi per lo sport, e in tal senso, la notevole importanza di prevedere i cambiamenti. Perché se risulta importante gestire al meglio l’evento, lo è altrettanto – se non di più – coordinare con meticolosa attenzione il periodo successivo, evitando la costruzione di architetture poco sostenibili.

Per questo motivo, Euro 2020 rappresenta per l’Italia l’occasione di analizzare pregi e difetti di altri modelli, anche i meno conosciuti, senza però dimenticare la particolarità del contesto in cui viviamo. Storia, arte, integrazione nel tessuto urbano, identificano tutte caratteristiche da valorizzare, intraprendendo un processo che conduca verso un’innovazione sempre relazionata all’aspetto locale.

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Il progetto, ormai ben avviato, per il nuovo Stadio Renato Dall’Ara (Bologna), tenta proprio di adeguare lo storico impianto alle moderne esigenze, migliorando la visibilità e incrementando servizi e comodità attraverso uno stile che, a livello concettuale, cerca un dialogo con il passato. Una scelta, un’ambizione, che però conferma, ancora una volta, la necessità di attualizzare le infrastrutture sportive italiane. Ciò che viene comunicato anche nell’Olimpico, attraverso alcune operazioni effettuate da AS Roma e S.S. Lazio per migliorare le aree hospitality e incrementare le revenues.

La prima, per esempio, nel corso degli anni ha potenziato la Tribuna Monte Mario, inserendo vari settori come la Players Zone, l’Executive Box, il Superpalco e la Tribuna 1927, tutti dotati, pur con delle differenze, di hospitality pre gara, servizio dedicato e, per la Players Zone, “Warm up experience” a bordocampo. Tuttavia, la stessa morfologia dell’impianto a pianta ovale, limita particolari operazioni come il miglioramento della visibilità, oppure, per il particolare profilo degli spalti, la difficoltà nell’incrementare il numero di sky box.

Tali specifiche, comuni ad altri impianti italiani, rimandano nuovamente a quell’occasione offerta dai Campionati Mondiali di calcio del 1990. Gli stessi che, invece di rappresentare una nuova visione delle architetture dello sport, sono stati contraddistinti da una sorte di stabilizzazione, più afferente alla precedente generazione di infrastrutture sportive, quasi a voler procrastinare un futuro ormai delineato.

D’altra parte, però, il panorama italiano, pur caratterizzato da una serie di criticità, può contare sulla straordinaria bellezza di alcuni siti, possibili scenografie per rinnovamenti futuri. Il Foro Italico, in cui è localizzato l’Olimpico, ne è una prova; non solo per le architetture presenti (tra cui lo Stadio dei Marmi, 1932), ma anche per la realizzazione di una “città dello sport” in cui si integrano svariate discipline, dal calcio al tennis, dal nuoto all’atletica.

Questo può rappresentare la potenzialità, quasi unica, di un futuro che potrebbe vedere il principale impianto di Roma, una struttura costruita sulla traccia dello Stadio dei Cipressi (poi diventato persino parcheggio di automezzi militari degli Alleati), rivestire il ruolo di “manifesto” del Foro Italico: un museo a cielo aperto pronto ad illuminarsi, per l’ennesima volta, durante le notti europee di una competizione itinerante.