Marcus Rashford, stella del Manchester United, è tra i calciatori della Premier League più attivi nell’aiutare i meno fortunati in questo difficile momento dovuto all’emergenza Covid-19.
Dopo aver risposto attraverso il suo profilo Instagram ad una lettera inviatagli da un bambino, nella quale il piccolo tifoso gli chiedeva se stesse bene e gli esternava quanto sentisse la mancanza di vedere lo United giocare, il ventiduenne di origini nevisiane ha deciso di scendere in campo in prima persona.
Rashford è tornato così a lavorare (lo aveva già fatto in modo anonimo per 12 mesi) per FareShare, un’associazione “charity” di Manchester, andando in giro a distribuire cibo alle famiglie con bambini che stanno vivendo un periodo di difficoltà economica. Essendo famosissimo, la sua iniziativa ha attirato l’attenzione di tanti. «Ogni piccolo aiuto – aveva detto – sarà importantissimo».
Grazie al suo appello, FareShare ha ricevuto in pochi giorni:
- £15 milioni in cibo da parte della catena di ipermercati Tesco;
- £2.5 milioni cash dall’altro gigante della distribuzione Asda;
- £1.5 milioni in cibo dalla società Co-op.
A queste, vanno aggiunte tante offerte di minore entità, ma non per questo meno apprezzate (alla data di ieri si registravano £160.000 donate dai cittadini), che hanno portato l’associazione ad abbattere il muro dei 20 milioni di sterline ricevute in cibo e soldi.
E mentre in Premier League si discute di tagli di stipendi da parte dei calciatori, Rashford e i suoi compagni del Manchester United hanno già devoluto al National Health Service (il Servizio Sanitario Nazionale della Gran Bretagna) il 30% del loro salario mensile.
«Sto solo cercando di aiutare chi è in difficoltà – le parole della star dell’Old Trafford – quando ho sentito che le scuole sarebbero state chiuse, il mio pensiero è andato subito ai tanti bambini delle famiglie meno abbienti che mangiavano lì. Ho immaginato che per tanti genitori non sarebbe stato facile trovare i soldi per acquistare loro cibo. Quando andavo a scuola ero uno di quei bambini che pranzava nella mensa, non dimentico quel periodo».
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