Quando hai l’opportunità di chiacchierare con uno dei difensori più forti degli anni 80-90, uno che ha marcato fuoriclasse come Diego Armando Maradona e Van Basten, e diviso lo spogliatoio con Roberto Baggio e Gianluca Vialli, ti aspetti di incontrare uno che un po’ se la tira, e invece trovi dall’altra parte del telefono una delle persone più disponibili che tu abbia mai incontrato.
La chiacchierata è fluida e Marco (ci chiede di dargli del tu) ci svela subito una chicca: la sua famiglia è tifosissima dell’Inter! Lui però ha alzato una Coppa UEFA con la maglia della Juventus… e solo in quell’occasione, a casa sua si è tifato per i bianconeri, perché la famiglia viene prima di tutto. Lui da quando ha cominciato a giocare tra i professionisti ha smesso di fare il tifo e ha dato anima e cuore per i colori che rappresentava: Como, Ospitaletto, Bologna, Juventus, una piccola parentesi alla Roma e poi ancora alla Juventus, il ritorno a Bologna e poi l’avventura all’estero, prima in Olanda con il Vitesse e poi in Scozia con il Dundee.
Oggi fa il procuratore di calcio e noi abbiamo voluto incontrarlo per farci raccontare com’era il suo calcio e che differenze ci sono con il calcio di oggi, ma soprattutto per parlare del suo progetto We Love Football.
Ecco la nostra chiacchierata con Marco De Marchi, ex difensore di Juventus e Bologna
Qual è la tua squadra del cuore? Ho iniziato sin da piccolo a sviluppare una passione per il calcio grazie soprattutto a mio zio Pierino, al quale ero molto legato, neroazzurro sfegatato, che mi portava a San Siro a vedere l’Inter. La mia fede calcistica è un po’ complicata, nel senso che io sono di Milano e la mia famiglia è sempre stata interista: mia sorella ha l’abbonamento da sempre e mia madre, quando l’Inter gioca di sera, si mette addirittura a letto con la sciarpa della sua squadra del cuore. Quindi siamo sempre stati molto tifosi. Quando però ho iniziato la mia vita da calciatore professionista, devo dirti che qualsiasi tipo di “devozione” è andata scemando completamente. La passione per il calcio giocato ha prevalso sull’amore univoco della singola squadra.
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È successo questo perché anche tu sei diventato parte dello show? Diciamo di sì. Ci sono stati poi amici d’infanzia, quelli del Calcio Como (con i quali sono cresciuto) che hanno continuato a tifare le loro squadre del cuore, non capacitandosi di come a me il tifo non mi condizionasse emotivamente. Generalmente tutti i tifosi hanno l’umore del lunedì che rappresenta il risultato ottenuto dalla propria squadra, il mio “distacco” invece mi permette di essere molto obiettivo nei giudizi, a differenza del tifoso che inconsapevolmente può essere influenzato dal suo credo.
Chi erano i tuoi idoli da bambino? C’è da distinguere l’idolo dal modello. Il mio idolo incontrastato era Evaristo Beccalossi, nel senso che io andavo a San Siro per vedere le magie di Evaristo, che poi ho anche conosciuto e siamo diventati amici. Lui era proprio il mio idolo e andavo allo stadio perché il suo modo di giocare mi piaceva tantissimo, mi entusiasmava. Il mio modello di giocatore, però, fu Collovati. Era lui quello che io volevo emulare, tanto da aver comprato anche le stesse scarpe che indossava lui in campo.
Una curiosità: i tuoi parenti sono riusciti a festeggiare quando hai alzato la Coppa Uefa con la Juventus? In quel caso assolutamente si! Ma ti racconto un aneddoto divertente: sono stato a casa da mia mamma e da mia sorella recentemente e, parlando della mia avventura in maglia bianconera ho chiesto proprio a mia sorella “Ma durante la partita Juve-Inter tu per chi tifavi?” Lei mi ha confessato di aver tifato Inter!
Com’è cambiato il calcio? Il calcio è completamente cambiato, secondo me in termini di dinamiche e di passione; quest’ultima è molto più offuscata adesso, per via di come è la società in generale in questo momento. A far cambiare tutto ha contribuito anche lo sviluppo che c’è stato nel corso degli anni attraverso i nuovi strumenti di comunicazione, inteso come media e social che all’epoca non c’erano. Oggi non si gioca più per strada e nei campetti, come facevamo noi sbucciandoci le ginocchia. Davanti al palazzo in cui abitavo io c’era un piazzale enorme e io, scavalcando il cancello del cortile di casa, avevo il mio “campo da gioco” proprio lì. Sono queste le cose che ci hanno fatto crescere, conoscere gli amici e fatto affrontare le difficoltà. Insieme. Sempre!
In quei campetti hai anche incontrato qualcuno di più forte che nei campionati di serie A? Sì sì, di sicuro. A tal proposito vorrei dirti che insieme a mia moglie Stefania Tschantret, artista e produttrice, abbiamo dato il via (ormai già da 5 anni) al progetto We Love Football (www.welovefootball.eu). Un contenitore di eventi, tra cui spicca un torneo giovanile under 15 che si svolge a Bologna nella settimana di Pasqua e dove accogliamo squadre maschili e femminili da tutto il mondo. Abbiamo anche un’associazione di promozione sociale che si chiama Amici di We Love Football che porta avanti un importante progetto in Ruanda, dedicato anche ad adozioni a distanza. Si tratta di un contenitore dedicato a chi ama il calcio secondo la nostra filosofia, che è quella di tornare un po’ a quei valori che nel corso dei decenni si sono persi per strada. Il progetto piace e molto. Sta avendo un graditissimo riscontro, e sono lusingato di aver ricevuto il titolo di Ambasciatore di Bologna 2019 proprio per questo progetto, contribuendo a far conoscere anche le nostre eccellenze nel mondo. Sono stato recentemente contattato dall’America e dall’Arabia Saudita proprio per esportare il concept di We Love Football, una vera filosofia di pensiero che punta sulla passione e il gioco di squadra. Che poi è il senso vero della vita stessa.
Sempre in tema calcistico, mia moglie con la sua casa di produzione la Oblivion Production (www.oblivionproduction.com) sta realizzando: “999 – l’altra anima del calcio”per la regia di Federico Rizzo finanziato dalla film commission della Regione Emilia-Romagna. 999… uno su mille ce la fa e gli altri 999 no. Questo film secondo il mio punto di vista diventerà un cult a livello nazionale ed internazionale, perché i messaggi che vogliamo trasmettere con questa docu-fiction sono quelli più rappresentativi dell’esistenza di ognuno di noi anche in percorsi diversi da quello sportivo. Per diventare un calciatore professionista c’è molto da lavorare sul campo, ma dobbiamo anche trasmettere ai ragazzi che bisogna essere pronti a mettersi in gioco su più fronti. Nello sport come nello studio e con la giusta mentalità. Nell’epoca in cui il video è più importante della parola scritta, questo credo sia un documento straordinariamente forte.
Ti ho sentito parlare molto di Bologna. Possiamo dire che è il posto in cui ti sei affermato ad alti livelli e il luogo in cui hai concluso la tua carriera in serie A. Cosa significa per te Bologna? Bologna per me vuol dire tutto, senza però dimenticare i 9 anni e mezzo passati a Como, che sono stati senza dubbio formativi; si ricevevano insegnamenti di quotidianità vissuta, prima ancora di parlare di calcio. Basta ricordare che il Responsabile del Settore Giovanile all’epoca era Mister Mino Favini. Bologna per me vuol dire tutto perché è una piazza che mi ha regalato il mondo, ovvero qualcosa senza orizzonte, qualcosa di infinito. Mi sono innamorato follemente di questa città e della sua gente sin da subito ed immediatamente ho pensato che sarebbe diventata la mia città, come poi è stato.
Se tu ti fossi trovato fra i 999 cosa avresti fatto nella vita? Mi piaceva lo sport perché facevo anche atletica, ma non avevo doti particolari per spiccare, perché sapevo fare benino tutto, ma non c’era qualcosa in cui eccellessi. Mi piaceva l’atletica. La mia idea era quella di diventare insegnante di educazione fisica, tanto che frequentai le scuole magistrali e mi diplomai con quell’idea. Mi trovai poi a scegliere tra il continuare nel percorso da insegnante o prendere la via del calcio da professionista. La seconda scelta ebbe la meglio.
Quali sono stati i giocatori più forti con cui hai giocato e quelli più forti che hai incontrato? Ho avuto la fortuna di giocare ed incontrare grandi campioni. Per me quello più importante è stato Diego Armando Maradona, ma all’epoca c’erano anche altri nomi come Van Basten. Il giocatore più forte con cui ho giocato? Io ho giocato con Roberto Baggio e ho un debole per Gianluca Vialli, con il quale ho ancora un rapporto di stima e amicizia. Ho riconosciuto in lui il compagno di squadra più importante che abbia avuto e quello che avrei sempre voluto in squadra con me. Io e Vialli eravamo amici anche fuori dal campo.
Dopo che hai appeso le scarpette al chiodo ti sei lanciato subito a fare il procuratore? Sì, diciamo di sì, perché ho sempre voluto trovare una strada che facesse decidere a me i tempi e i modi di lavorare; ho investito su me stesso cercando di scoprire talenti in Italia e in giro per l’Europa. Questa è la motivazione per la quale non ho fatto l’allenatore o il direttore, scegliendo invece questa carriera da procuratore. I miei Agenti storici (Cavalleri e Tinti) mi hanno insegnato molto, perché credo fermamente che prima di fare qualsiasi cosa, si debba imparare il mestiere, attitudine che negli ultimi anni si è un po’ persa. Ho iniziato dunque facendo la classica gavetta, sviluppando la sensibilità del talent scout.
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Quali sono le caratteristiche che deve avere un ragazzino per fare strada? Io ne ho viste di tutti i colori! Il calcio è un mondo che definirei illogico ed è complicatissimo sbilanciarsi nel considerare dei talenti come possibili giocatori che si affermeranno: ho avuto giocatori che a 15 anni erano inseguiti da altri colleghi, e da club prestigiosi. Di questi giocatori, che anche io pensavo diventassero grandi, pochissimi sono riusciti ad arrivare ai livelli sperati. Io guardo l’attitudine, l’approccio alle partite, il modo in cui le vivono, come le affrontano, ma ovviamente, nel calcio di oggi bisogna guardare anche la struttura fisica e le caratteristiche tecniche. Quello che chiedo ai ragazzi che seguo è sempre di non limitarsi e di provare a raggiungere il loro massimo. Anche a sfidare i propri limiti. solo così potranno non avere rimpianti.
Chi è secondo te il più forte calciatore che c’è adesso in circolazione? Domanda complicata. Sarebbe meglio rispondere a chi è il migliore, distinguendo per ruolo: come portiere ti direi Handanovic. Come difensore penso che in questo momento il più forte in assoluto sia Van Dijk del Liverpool. Come centrocampisti ti direi (come playmaker) il nome di un giovane che è quello di Tonali, del Brescia, che a me piace tantissimo. Poi ci sono giocatori più di struttura come Pogba, che è un centrocampista davvero completo. Per quanto riguarda gli attaccanti ti direi sicuramente Ronaldo e Messi.
Come è cambiato il razzismo da quando giocavi tu ad oggi? Cosa si potrebbe fare secondo te per risolvere questo problema? Secondo me è cambiato in peggio, e forse lo si deve anche al fatto che oggi la comunicazione è talmente veloce e accessibile a tutto e a tutti, spesso in maniera deleteria: oggi chiunque può mettersi dietro ad un computer e scrivere ciò che vuole, creandosi anche profili fake. Questo ha fatto ingigantire un problema che c’è sempre stato, ma che oggi, è molto difficile da debellare. Dovremmo essere tutti più uniti, contrastando anche con azioni forti e decise coloro che esaltano questo concetto. È un tema complicato ed è difficile trovare una soluzione, ma la cultura è sempre un’ottima arma vincente.
Torniamo invece al torneo di aprile e al tuo progetto. Sì, si tratta di un progetto a cui tengo moltissimo che vorrei si divulgasse il più possibile. È un progetto etico che va oltre al torneo, racconta tante storie, tanti ragazzi di etnie diverse uniti nella passione per il calcio. Io mi rivedo nei loro occhi, nelle loro speranze, nei loro sogni… e spesso i sogni si avverano!
Mi hai detto che tua moglie lavora nel mondo della musica, quindi hai la possibilità di vedere dall’interno due show-business differenti. Quali sono le differenze tra questi due mondi? Ho conosciuto Stefania quando già era una stimatissima cantante nonché attrice ed organizzatrice di eventi. Nel corso degli anni ha fatto confluire tutte le sue passioni in questa sua società che si chiama Oblivion Production attraverso la quale organizza appunto eventi, realizza videoclip musicali (tra i quali Il volo, Fedez, Eros Ramazzotti ecc…) e Produzioni Cinematografiche. In questi anni ho conosciuto il suo mondo e posso dire, con grande forza, che sono due mondi che si abbracciano e che hanno tantissime cose in comune. Sono forse gli unici due mondi che parlano un linguaggio universale, che unisce e non divide. È davvero un mix pazzesco, ci sono tantissime affinità e insieme condividono tantissime cose. Poi è normale che possa capitare che io guardi la Champions League e lei i Grammy della musica. A volte finisce a testa o croce!