Audiovisivo, torta sempre più piccola (anche nel calcio): aggregazioni necessarie

Quanto vale il mercato tv calcio. Il mercato editoriale perde un miliardo all’anno. E mentre il web porta concorrenti come Google il futuro è lo «screen content»: l’integrazione. Lo scrive…

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Quanto vale il mercato tv calcio. Il mercato editoriale perde un miliardo all’anno. E mentre il web porta concorrenti come Google il futuro è lo «screen content»: l’integrazione. Lo scrive oggi il Corriere Economia in una analisi di scenario alla luce dei contatti aperti per il matrimonio tra Mediaset e Vivendi, dove il vero nodo è la valutazione di Premium e la prospettiva quella di una piattaforma europea che faccia concorrenza a Sky. Ma con tutte le cautele di un mercato in cui guadagna solo internet.

L’analisi di Corriere Economia avverte anchelo sport potrebbe essere terreno comune per dare inizio a una integrazione Vivendi-Mediaset Premium. Del resto se Canal+ piange, Premium non ride: la pay tv, che conta due milioni di abbonati, dal 2007 non ha mai fatto utili e per il triennio 2015-2018 pagherà 230 milioni di euro ogni anno (per un totale di 690 milioni) per i diritti della Champions League strappati a Sky a caro prezzo e su cui il Biscione ha puntato molto (per ora senza risultati) per incrementare il numero di abbonati. Si tratterebbe quindi di razionalizzare forze e spese e presentarsi come unico player con un maggior potere contrattuale, nello sport, ma non solo.

Il mercato italiano dell’audiovisivo di anno in anno riduce i ricavi, ma su cui si stanno imponendo nuovi protagonisti, che per di più giocano con meno regole. La tendenza emerge dal rapporto «Il sistema audiovisivo», redatto dall’e-Media Institute e dall’Istituto Bruno Leoni e presentato giovedì scorso a Roma.

Nel 2014, i contenuti editoriali hanno attratto ricavi per 23,6 miliardi di euro, perdendo quasi un miliardo rispetto al 2013 e 4,6 miliardi dal 2010. Per la prima volta, nel 2014, il giro d’affari complessivo di editoria cartacea, radio e tv, cinema e Internet, home video, musica e videogiochi è sceso sotto l’1,5% in relazione al Pil.

Il rapporto era dell’1,76% nel 2010. È un settore che si riduce, dunque, e nasce comunque già piccolo, se si considera che nell’Unione Europea rappresenta mediamente il 2,4% del Pil aggregato. Le cause? «Il calo dei consumi e della pubblicità e l’utilizzo sempre più diffuso di Internet», dice il direttore dell’eMedia Institute, Emilio Pucci.

Pesa la diffusione di smartphone e tablet: «I mezzi storici, cioè carta e tv, che ancora coprono più dell’80% dell’intero volume d’affari di tutta la comunicazione editoriale al pubblico, dal 2010-2011 subiscono la migrazione dei consumi verso gli schermi connessi al web».

Internet è il solo mezzo in crescita nel 2014, rispetto al 2013: i ricavi passano da 2,6 a 3 miliardi (+16,3%), mentre la tv — il media che scende meno — cala da 9,27 a 9,18 miliardi (-1%, ma incide il prelievo del governo al canone della Rai). Con Internet arrivano anche nuovi competitor: è così che il mercato si surriscalda.

Mentre si discute sul se e sul come far pagare un contributo a Google News, che aggrega i contenuti prodotti dagli altri editori, il gruppo di Mountain View è entrato infatti tra i primi dieci gruppi media in Italia ed è praticamente il solo a crescere: nel 2014 era quarto, con ricavi in aumento del 18% a un miliardo di euro.

Il primo gruppo è la Fininvest, che tra Mediaset (2.483 milioni nel 2014) e Mondadori (817 milioni) nel 2014 vede comunque calare il fatturato del 9%, seguita da Sky (+1% a 2.669 milioni) e dalla RAI (-7% a 2.475 milioni). Per molti, la perdita di ricavi tradizionali è solo in parte recuperata attraverso l’offerta Internet.

Il mercato audiovisivo inteso in senso classico — cioè la somma del giro d’affari della televisione, del cinema e dell’home video — nel 2014 valeva 10,191 miliardi, in flessione dell’1% rispetto al 2013. La cifra comprende anche il video on demand, cioè le transazioni a consumo (il cosiddetto «TVoD», Transactional video on demand) offerte per esempio da iTunes e i servizi di abbonamento («SVoD», Subscription video on demand) come Netflix, Sky online e Infinity di Mediaset.

L’offerta di contenuti televisivi a pagamento è sempre più associata e integrata all’offerta su piattaforme online. Il futuro dell’editoria è il cosiddetto screen content, un ambiente editoriale integrato in cui i contenuti si trasferiscono sullo schermo, creando funzioni editoriali nuove.