West Bromwich Albion, Aston Villa, Hull City, Crystal Palace e Southampton. Cinque club protagonisti della scorsa stagione di Premier league sarebbero in vendita, ma nessuno li vuole acquistare. Una situazione curiosa, quella in cui viene a trovarsi la Premier league proprio nel momento in cui i club stanno iniziando a fare profitti e il contratto televisivo dal 2016 garantirà un minimo di 150 milioni di euro anche all’ultima classificata.
La vorticosa crescita del campionato più ricco del mondo sembra arrivata ad una svolta. E nonostante le voci estive i principali club messi sul mercato rimangono sul mercato. Ecco cosa sta succedendo realmente nel mercato calcistico britannico che sembra rallentato da tre aspetti principali: il primo riguarda il controllo “Fit and proper” sull’identità (non sempre encomiabile) degli azionisti dei club, il secondo è legato ad equilibri economici internazionali con una minore disponibilità ad investire in UK che avrebbe rallentato e fatto naufragare diverse trattative.
Il terzo aspetto, e probabilmente più importante, è legato al rischio retrocessione. Perchè un campionato come la Premier con diritti tv che garantiscono una redditività elevata deve poi scontrarsi con la realtà sportiva del gioco, ovvero la possibilità di vedere il club relegato in un campionato come la Championship affascinante ma non altrettanto interessante sul piano economico.
1. FIT AND PROPER.
Un fattore determinante è che il test “fit and proper” (ovvero le regole restrittive che impongono controlli sull’onorabilità di chi diventa proprietario di un club) è stato ulteriormente inasprito dopo il caso Cellino che ha portato l’ex presidente del Cagliari ad acquisire la proprietà del Leeds in Championship tra i mugugni (e l’opposizione esplicita di Leghe e Federazione) generali.
La regola era stata evocata (e in qualche modo varata) anche in Italia in seguito al caso Parma, ovvero quando l’albanese Taci rilevò il club salvo poi sbarazzarsene alla fine del mercato di gennaio facendo crollare la società definitivamente.
Tra le nuove regole introdotte, accelerate proprio dopo che (per ora) nessuna azione intrapresa contro Cellino ha portato al risultato di togliere dalle mani del presidente italiano uno dei club più gloriosi della storia del calcio inglese, vi è quella del controllo che viene allargato non solo agli azionisti del club ma anche agli amministratori.
2. EQUILIBRI ECONOMICO-POLITICI INTERNAZIONALI.
Curiosa la situazione a Birmingham, seconda città del Paese per numero di abitanti, dove l’omonima squadra sta ben figurando in Championship dopo anni di anonimato che hanno fatto seguito alla retrocessione, mentre sono ufficialmente in vendita le altre due squadre: il West Bromwich Albion e l’Aston Villa.
Sul Wba era stato ventilato un interesse cinese, che sarebbe arrivato fino ad una fase di trattative riservate. Interesse venuto meno tuttavia quando il mercato azionario cinese è crollato. Le banche che avrebbero finanziato l’operazione si sono ritirate e l’acquirente non poteva completare.
Un tentativo di vendere l’Aston Villa è stato invece interrotto quando le sanzioni alla Russia hanno messo in difficoltà il sistema economico del Paese e le aziende russe si sono trovate a corto di capitali, nessuno voleva comunicare al presidente Putin un investimento di centinaia di milioni all’estero. Almeno stando alle voci dei giornali inglesi.
Ed al momento anche gli acquirenti Mediorientali non hanno trovato terreno fertile in seguito alla polemica sull’attribuzione della Coppa del Mondo al Qatar nel 2022. L’FA è tra le federazioni più agguerrite, anche perchè è stata direttamente svantaggiata e potrebbe preparare presto un’offensiva per il 2026 quando peraltro cadranno i 60 anni dall’edizione del 1966 che vide i Tre leoni alzare la loro unica Coppa del Mondo.
3. FATTORE DI RISCHIO ALTISSIMO.
Anche l’Hull City è stato messo in vendita, soprattutto in seguto alla vicenda della denominazione (il proprietario, l’egiziano Assem Allan voleva ribattezzare la squadra Hull Tigers per questioni di branding ma non è riuscito a portare a termine l’operazione), ma nessun interesse significativo è stato manifestato. Al momento il problema maggiore del club è quello di verificare se i “paracadute” (ovvero le cifre che per 4 anni vengono corrisposte ai club che retrocedono in Championship come risarcimento sui mancati diritti tv degli anni successivi, basteranno per rilanciare il club e riportarlo in Premier League.
Di contro anche il Crystal Palace ha visto i colloqui avviati per la cessione quando una migliore performance in campo ha portato ad un aumento del prezzo richiesto dalla proprietà. Un po’ quello che è accadoto al Southampton dove Katharina Liebherr non ha cercato di vendere esplicitamente il club, ma – sempre stando alle dichiarazioni della stampa – ha intrattenuto offerte che non hanno portato a un accordo.
Ecco quindi l’aspetto che sembra decisivo in questo momento: la Premier league è un campionato ricchissimo ma la retrocessione porta ad un depauperamento immediato delle possibilità di ricavo che scoraggia gli investitori. I conti e le sorti dei club retrocessi negli ultimi anni (casi limite quello del Portsmouth finito in quarta serie) sembrano dire che il paracadute al momento non basta e in Inghilterra non manca chi ha profetizzato una futura Premier league (che al momento è per lo più fantascienza) basata sul sistema delle franchigie (che eliminando le retrocessioni garantirebbe il valore del club nel lungo periodo).
Molti acquirenti americani – ad esempio – hanno espressamente fatto capire di non gradire l’idea che il loro club possa essere retrocesso. E non sembra praticabile la strada della “clausola di retrocessione” nei confronti dei venditori da far valere in caso di caduta del club: i venditori conoscono bene questo aspetto e non lo accettano. Anche per questo il Southampton e il Crystal Palace che al momento sono ben consolidate in massima serie ed hanno un fattore di rischio ben inferiore (a quello di Wba e Aston Villa ad eempio) vedono aumentare il loro valore e diventano più difficili da vendere.