Così i club vogliono rivoluzionare il Fair Play Finanziario

Ecco le proposte avanzate dai club europei all’Uefa contenenti le modifiche al fair play finanziario e finalizzate a stimolare nuovi investimenti nel calcio.

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(Foto: Insidefoto.com)

Cambiare il Fair Play Finanziario, per favorire gli investimenti di nuovi soci stranieri nel pallone europeo. Ma anche introduzione di tetti di spesa per i calciatori, di nuovi incentivi per lo sviluppo dei settori giovanili e di monitoraggio Uefa pure sul debito. Sarebbe questa, secondo quanto appreso da Calcio e Finanza, la proposta che le società aderenti all’European Club Association (Eca) avrebbero fatto arrivare sul tavolo di Michel Platini nelle scorse settimane e che avrebbe già trovato qualche prima timida apertura da parte dell’Uefa. Anche se non è detto che la valutazione della proposta, che CF è in grado di documentare nei dettagli, sarà discussa già nella prossima riunione del comitato esecutivo in programma lunedì 26 gennaio.

Il nuovo FFP, se venisse approvato dall’Uefa, porterebbe importanti benefici ad alcuni club italiani, soprattutto per il punto che riguarda i nuovi investitori. Da una parte ci sono Inter e Roma, che negli ultimi anni sono stati acquistati da imprenditori stranieri che, stretti nella morsa degli attuali paletti del Fair Play Finanziario, non hanno avuto fino ad ora grandi spazi di manovra. Dall’altra parte c’è il Milan, che dopo l’accordo rinnovato con Emirates è da tempo a caccia di nuovi soci, da far entrare nel capitale per avere almeno parte dei soldi necessari per il nuovo stadio di proprietà. La richiesta dei club non intende però affossare quell’insieme di regole voluto da Platini per migliorare la capacità economica e finanziaria del calcio continentale. L’obiettivo è quello di trasformare il Fair Play Finanziario in una regola più flessibile, adatta alla situazione economica di oggi (diversa da quella in cui il FFP fu elaborato) e più adatta a richiamare nuovi investitori.

Non è un caso che Umberto Gandini, direttore dell’organizzazione sportiva del Milan e vice presidente dell’Eca, lo scorso dicembre abbia dichiarato che «Il fair play finanziario ha portato un po’ di buon senso nella gestione delle società di calcio europee. E’ stato un successo in termini di riduzioni delle perdite complessive del calcio europeo. Dall’altro lato c’è però da considerare come alcuni club a causa di questo sono cristallizzati, ci sono investitori che vorrebbero entrare in gioco ma che vengono frenati proprio da questo meccanismo. In Europa in questo momento ci sono solamente 5-6 grandi club, quello a cui dovrebbe mirare l’Uefa è di avere come minimo 20 grandi club».

CHE COSA CHIEDONO I CLUB

Innalzamento della soglia massima di perdita accettata

Le attuali regole del FFP sono state progettate ed approvate in un periodo in cui la crisi stava attaccando la stabilità finanziaria europea. Per proteggere il sistema dalla possibile inflazione che l’arrivo di nuovi investitori avrebbe potuto generare, si decise così di accelerare i tempi della sua approvazione, avvenuta nel settembre 2009 (a un anno esatto dall’arrivo degli sceicchi al Manchester City).

I tempi però sono cambiati e molti investitori non europei continuano a bussare all’Europa del calcio. Il primo punto del documento arrivato sul tavolo dell’Uefa riguarda così il cosiddetto “Pacchetto di benvenuto” (Welcome package). Si tratta di nuove soglie di perdita massima per le società controllate da nuovi investitori, definite per incentivare i loro investimenti.

La proposta prevede che i club nel cui capitale sono entrati (o entreranno) nuovi investitori possano permettersi una perdita massima di 50 milioni di euro nel primo anno, per poi diminuire a 40 milioni nel secondo, a 30 nel terzo e infine a 20 nel quarto. Inoltre, per garantire stabilità nei 4 anni, ai club verrebbe chiesta una garanzia del 50% rispetto alle perdite che saranno prospettate nel business plan.

Salary cap per ingaggi e ammortamenti

Il secondo punto contenuto nella proposta al vaglio della Uefa riguarda il salary cap, ovvero il tetto di spesa per i calciatori. Il FFP era stato elaborato per tenere a freno l’innalzamento eccessivo degli stipendi dei giocatori, che negli anni aveva causato grosse perdite ai club. La Uefa però non è riuscita nell’intento, per due motivi.

Il primo, perché molti club hanno sì ridotto le perdite, ma per la loro minore capacità di spendere dovuta alla crisi e non per l’applicazione delle regole del FFP. Il secondo, perché le norme Uefa hanno favorito ciò che volevano combattere, ovvero l’innalzamento degli stipendi, a causa degli enormi ricavi raggiunti dai grandi club. Un dato confermato dall’ultimo rapporto comparativo stilato da Nyon sulle licenze per club, dove è spiegato che «i ricavi dei club europei sono aumentati del 42% tra il 2007 e il 2012, superati tuttavia dai salari dei club europei, aumentati a loro volta del 59% nello stesso quinquennio».

L’Idea, in questo caso, è quella di stabilire un salary cap predefinito per ingaggi e ammortamenti di 200 milioni di euro per le squadre impegnate in Champions League e di 125 milioni per quelle in Europa League.

 Il 5% dei ricavi da destinare ai vivai

Nel FFP così come lo conosciamo ora, una parte delle regole era destinata allo sviluppo dei settori giovanili. La Uefa aveva infatti escluso i costi per le strutture da destinare ai giovani calciatori  dalla “break even rule”, che prevede il raggiungimento del pareggio di bilancio attraverso la copertura delle spese con i propri ricavi.

Molti club hanno utilizzato questa esclusione dei costi non per sviluppare le giovanili, ma per diminuire le proprie perdite. La nuova proposta mira a dare più certezza sui soldi da destinare ai giovani. Per questo i club hanno chiesto alla Uefa che il 5% dei ricavi dei club venga destinato in maniera vincolante ai vivai. Con un benefit annesso: chi seguirà tale regola, potrà godere di una perdita massima accettabile superiore.

Rapporto debt/equity tra i parametri FFP

Negli ultimi mesi del 2014, la parte “araba” dell’Eca guidata da Manchester City e Psg, ancora scottata dalle sanzioni del FFP subìte a maggio, avevano guidato un fronte di rivolta soprattutto contro le spagnole. La richiesta di questi club era quella di inserire il debito tra i parametri del FFP, proprio per colpire le concorrenti Real Madrid e Barcellona, accusate di essere troppo esposte sul fronte debitorio.

Un’accusa vera in parte, perché gli ultimi bilanci del Real, in particolare, hanno dimostrato che agli enormi ricavi del club (549 milioni di euro) si è accompagnata una riduzione dell’indebitamento finanziario netto del 21% rispetto al 2013 (71 milioni di euro nel 2014). Ma vero è che in queste condizioni dei mercati, la sostenibilità economica delle squadre deve essere regolata da indicatori certi del debito. Su questo punto, i club hanno proposto che l’indebitamento finanziario netto non potrà essere 3 volte superiore il patrimonio netto del club.

Equiparare tutti i club appartenenti a regimi fiscali diversi

Poste le differenze tra Paesi in termini di previdenza e fiscalità sul costo del lavoro, i club hanno chiesto alla Uefa di escludere le tasse sul lavoro dal calcolo del costo del personale. L’obiettivo è quello di equiparare tutte le società di calcio che appartengono a regimi fiscali differenti. Una misura, quest’ultima, più volte chiesta dal presidente della Juventus, Andrea Agnelli, e dal vicepresidente del Milan, Adriano Galliani, con riferimento all’Irap che grava pesantemente sui conti dei club di Serie A.

Stop alle Tpo in territorio Uefa

Il fenomeno delle cosiddette terze parti (Third party ownership, TPO) è risultato in costante crescita negli ultimi anni. Il caso più clamoroso di intreccio tra un fondo di investimento e un club resta quello tra la Doyen e l’Atletico Madrid, nell’ambito dell’acquisto di Radamel Falcao. Il cui cartellino venne acquistato dal Porto per 40 milioni di euro, di cui solo 18 vennero pagati dall’Atletico: la restante parte venne coperta da Doyen, che poi si spartì con i Colchoneros 45 milioni sui 60 dalla vendita dell’attaccante al Monaco.

Un’operazione poco chiara, che non può lasciare tracce evidenti sul consuntivo di fine anno. E proprio per la difficoltà sia di tracciare con precisione tutte le operazioni effettuate dai fondi d’investimento, sia di capirne i reali effetti sui bilanci delle squadre, l’Eca ha chiesto alla Uefa di escludere le Tpo dall’Europa. Si tratterebbe, in sostanza, di recepire la norma Fifa, che ha deciso di vietarle ufficialmente a partire dal 1° maggio 2015.