La Serie A vota sulla riforma FIGC ma va avanti sull’autonomia stile Premier

«Questo sì non cambia il progetto che la Serie A sta portando avanti per arrivare a un modello di maggiore autonomia e indipendenza ispirato a quello inglese».

Serie A autonomia Premier
(Foto: Nicolò Campo / Insidefoto)

Una scelta politica, portata avanti anche «per responsabilità istituzionale», ma soprattutto perché la Serie A ha ben altri progetti. Sono questi – scrive La Gazzetta dello Sport – i presupposti da cui sono partiti i tre membri della Lega del massimo campionato, che hanno scelto di votare sì al piano strategico della FIGC, centrato sulla parte economico-finanziario della riforma del calcio e approvato in Consiglio federale con la sola astensione della Serie B.

«Questo nostro sì non cambia il progetto che la Serie A sta portando avanti per arrivare a un modello di maggiore autonomia e indipendenza ispirato a quello inglese. Quando lo avremo in mano ci aspettiamo l’entusiasmo di tutti: una Serie A più forte, che lavora meglio e che produce più risorse è a vantaggio di tutto il calcio italiano», ha commentato il presidente di Lega, Lorenzo Casini.

Gravina – che ha parlato dell’approvazione del piano come di un «grandissimo successo per il risanamento del calcio italiano, anche perché ci rende più credibili agli occhi del Governo» – è intervenuto anche sulla possibile separazione della Serie A dalla Federazione, modello Premier League: «Non ne conosciamo i contorni. Casini ritiene porti forza al calcio, ce lo auguriamo e di certo non li contrastiamo. Io penso sia un percorso particolarmente complesso, visto che si andrebbero a toccare i regolamenti Coni, Cio, UEFA, FIFA e due leggi dello Stato. Ma non sono un giurista, mentre la Serie A ha già attivato una commissione di esperti che lavora solo su questo. Staremo a vedere».

All’interno del calcio italiano restano spaccature tali da spingere il ministro dello Sport Andrea Abodi a intervenire così: «Spesso si parla di sistema calcistico, ma è evidente che un sistema abbia bisogno di armonia, anche nella differenza di posizioni. Quello che manca è la capacità di far emergere l’interesse comune. Un sistema così fallisce. E questo non è soltanto un dato legato ai fallimenti finanziari, ma anche al fallimento della credibilità, della reputazione».