Non ci sarà solo il caso Superlega domani all’ordine del giorno tra le sentenze previste da parte della Corte di giustizia dell’Unione Europea. C’è anche una seconda sentenza infatti che riguarderà da vicino l’UEFA, quella cioè riguardando un ricorso dell’Anversa contro la stessa federcalcio continentale per quanto riguarda le liste dei calciatori che possono partecipare alle coppe europee, con particolare attenzione al tema dei giocatori provenienti dal vivaio.
Nel 2008/09, infatti, la UEFA aveva introdotto una norma che impone ancora oggi ai club di dover inserire un minimo di otto giocatori provenienti dal vivaio del proprio Paese (di cui almeno quattro del vivaio del club) nelle liste dei 25 giocatori che possono partecipare alle gare delle competizioni continentali per club.
Nel 2020, tuttavia, un giocatore belga e il club dell’Anversa hanno presentato un ricorso al tribunale del Belgio contro questa norma, in un caso che è arrivato così fino alla Corte UE. Al centro, infatti, c’è l’accusa che queste norme sui giocatori dal vivaio possano limitare la libera circolazione dei lavoratori garantita dall’articolo 45 TFUE (il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
Sul caso si è già espresso, con un parere non vincolante, l’avvocato generale dell’UE Maciej Szpunar, secondo cui “sistemi in cui tra i giocatori del vivaio rientrano non solo quelli formati dal club interessato ma anche quelli di altri club della stessa lega nazionale non sono compatibili con le norme sulla libera circolazione” e quindi sono parzialmente incompatibili con il diritto dell’Unione Europea.
“L’avvocato generale – si legge nella nota della Corte UE dopo il parere sul caso – afferma che le norme sui giocatori del vivaio possono determinare una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di altri Stati membri. È infatti noto che più un giocatore è giovane, più è probabile che risieda nel suo luogo d’origine. Pertanto, sono necessariamente i giocatori di altri Stati membri a subire il pregiudizio delle disposizioni impugnate. Nonostante la neutralità della formulazione, le disposizioni impugnate pongono i giocatori locali in una posizione di vantaggio rispetto ai giocatori di altri Stati membri”.
“Una siffatta discriminazione indiretta potrebbe tuttavia essere giustificata: l’avvocato generale ammette la tesi secondo cui le disposizioni impugnate sono, per definizione, idonee a raggiungere l’obiettivo della formazione e del reclutamento di giovani giocatori. Per quanto attiene allo sport professionistico, l’avvocato generale ricorda che, a partire dalla fondamentale sentenza Bosman, la Corte ha già affermato che, considerata la notevole importanza sociale dell’attività sportiva e, specialmente, del gioco del calcio nell’Unione, si deve riconoscere la legittimità dell’obiettivo consistente nell’incentivare l’ingaggio e la formazione di giovani giocatori”.
“Tuttavia, l’avvocato generale nutre dubbi sulla coerenza generale delle disposizioni impugnate per quanto riguarda la definizione di giocatore del vivaio. Se, come disposto sia nel regolamento dell’UEFA sia in quello dell’URBSFA, un giocatore del vivaio non è solo un giocatore formato dal club stesso, ma anche quello formato da un altro club del campionato nazionale, egli si chiede se le disposizioni impugnate giovino davvero al raggiungimento dell’obiettivo dei club di formare giovani giocatori. Tali dubbi ovviamente aumentano se la lega nazionale di cui trattasi è una lega importante”.
“Se un club di una lega nazionale importante potesse «comprare» fino alla metà dei giocatori del vivaio, verrebbe vanificato l’obiettivo di incentivare quel club a formare giovani giocatori. Di conseguenza, se da un lato l’avvocato generale ritiene giustificato l’obbligo di inserire nel relativo elenco un numero predefinito di giocatori del vivaio, dall’altro egli non vede la logica – dal punto di vista della formazione – di estendere la definizione di giocatore del vivaio a giocatori al di fuori di un determinato club, ma all’interno del relativo campionato nazionale”.
“Le stesse considerazioni valgono per l’obiettivo di migliorare l’equilibrio competitivo delle squadre. Se tutti i club fossero obbligati, attraverso le disposizioni impugnate, a formare giovani giocatori, probabilmente l’equilibrio competitivo complessivo delle squadre aumenterebbe. Anche in questo caso, l’obiettivo è vanificato nella misura in cui i club possono ricorrere ai giocatori del vivaio di altri club dello stesso campionato. L’avvocato generale conclude, pertanto, che le disposizioni impugnate non sono coerenti e, quindi, non sono idonee a raggiungere l’obiettivo della formazione di giovani giocatori: i giocatori del vivaio non dovrebbero comprendere giocatori provenienti da club diversi da quello di cui trattasi”.
La conclusione dell’avvocato generale, quindi, è stata la seguente: “Suggerisco alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Tribunal de première instance francophone de Bruxelles (Tribunale di primo grado di Bruxelles di lingua francese, Belgio) nei seguenti termini: L’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta all’applicazione delle norme sui giocatori del vivaio, come adottate dall’Unione delle federazioni calcistiche europee (UEFA) e dall’Union royale belge des sociétés de football association (URBSFA), in base alle quali, per partecipare alle relative competizioni, i club devono iscrivere in un elenco un numero minimo di otto giocatori del vivaio su un numero massimo di 25, laddove tali giocatori del vivaio possono provenire da un altro club della federazione calcistica nazionale interessata”. Ora tocca ai giudici della Corte dell’Unione Europea, che domani dovranno quindi decidere sul caso in questione.