Nella mattinata di domani è attesa la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea se esista, come sostiene la società A22 Sports che porta avanti la causa Superlega, una sorta di monopolio da parte dell’UEFA e, come tale, fa fermato consentendo ai club di formare a loro volta tornei gestiti direttamente da loro.
Uno dei più convinti oppositori all’idea Superlega è sempre stato Karl-Heinz Rummenigge, che siede attualmente nel comitato esecutivo della UEFA fino al 2025, oltre a ricoprire un ruolo nel pool istituito dalla federazione calcistica tedesca (DFB) per seguire il processo di ricostruzione della prima squadra maschile.
«Ho giocato a calcio e so quando si perde. Voi avete perso e dovete riconoscerlo», aveva detto a tu per tu Rummenigge quando i presidenti dei club proponenti avevano presentato il progetto della Superlega. A distanza di mesi non ha cambiato idea: «La sconfitta della Superlega è nei fatti, nel rifiuto dell’Europa al progetto. Manca soltanto la conferma legale», ha dichiarato a La Gazzetta dello Sport.
Nonostante l’incertezza del pronunciamento della CGUE, Rummenigge non si dice preoccupato per il futuro del calcio: «Lo ero la notte in cui hanno annunciato la Superlega. Erano dodici, avevano cercato di convincere invano noi e altri, erano alla rottura. Ho pensato: “E se fanno davvero la rivoluzione? Sarebbe il caos”. In due giorni la bolla è scoppiata. Ero allo stadio per il Bayern e Ceferin ogni cinque minuti mi mandava sms per dire: s’è ritirato il Chelsea, il Liverpool, il City… Era finita».
«La parola Superlega dice tutto. C’è “super” dentro: vuole essere superiore a tutto. Ai campionati, alla Champions, al calcio. Il Bayern? Non sono venuti da me a quei tempi, ma hanno provato con Oliver Kahn, il mio successore designato. Io, Uli Hoeness e il presidente Hainer abbiamo detto: “Mai con noi! Vogliamo vincere, ma regolarmente”. Anche il PSG la pensava così».
Sul comportamento di Andrea Agnelli, allora presidente della Juventus, uno dei tre club che ha spinto di più per la Superlega, insieme a Barcellona e Real Madrid, e che ha già espresso di voler uscire dal progetto: «Non sono più riuscito a parlare con Andrea dalla domenica in cui ha staccato il cellulare. Giravano voci, non veniva a Montreux e non rispondeva. Credo non abbia avuto il coraggio di dire cosa stava facendo. Capisco che il coronavirus abbia forzato i club ad accelerare, qualcuno voleva soldi freschi, ma quella presentazione non è stata professionale. Lui non lo capisco e mi spiace umanamente. Era presidente dell’ECA, era nell’Esecutivo UEFA, era presidente di una Juve tra i cinque top club del mondo. Ha perso tutto. Anche l’immagine. Andavamo d’accordo, ma, quando gli dicevo che il calcio non è solo economia, non la pensava come me».
«Ora della Superlega è rimasta solamente la presenza di due società spagnole. La Juve è fuori, almeno così mi sembra. Florentino forse dovevamo capirlo meglio, lui ha una visione soprattutto economica. Via libera della Corte? Non andrebbe lontano. Trent’anni fa il sistema avrebbe abbracciato la novità, ora è diverso. Inglesi, tedesche e francesi non parteciperebbero mai. Credo anche le italiane e le spagnole, a meno che non esista qualche presidente che pensa di andare a letto e svegliarsi l’indomani in mezzo all’oro. Potrebbero farsi il torneo Real e Barcellona».
Cosa significherebbe per i campionati nazionali un torneo come la Superlega: «Sarebbe la fine dei campionati come abbiamo imparato a conoscerli. Quand’ero all’Inter non c’era partita paragonabile al derby. Lo stesso al Bayern: niente come il Dortmund e ora il Leverkusen. I campionati esistono da una vita, da più vite. Sono le radici del calcio. Blatter mi aveva regalato un albero dicendo: “Kalle, guarda, le radici sono i campionati e le Leghe. Nel ramo più basso le coppe europee, dove vai se ti qualifichi. Poi le nazionali che giocano Mondiali ed Europei. Più in alto UEFA, in Europa, e la FIFA”».
«La Serie A diventerebbe la Serie B e la Bundesliga la seconda divisione – continua Rummenigge -. Tornei poveri. E tutto questo perché? Per danneggiare la Premier che incassa di più semplicemente perché è più brava. Soprattutto le spagnole: volevano danneggiarla e si sono inventate questo torneo, l’unico che conterebbe. Addio Juve-Cagliari, addio Bayern-Bielefeld».
Rummenigge Superlega Agnelli – Il vero piano dei club “dissidenti”
Rummenigge non esclude che nella Superlega ci possano essere anche squadre arabe: «Il piano A, con le top d’Europa, era solo un alibi: il loro obiettivo è inserire arabe, americane, fare un torneo internazionale. Perdere le radici. Iniziative di questo tipo sono state tutte rifiutate culturalmente, calcisticamente ed economicamente. L’UEFA offre il miglior torneo possibile, la nuova Champions a 36 squadre sarà ancora più spettacolare e aperta. Ha visto le feste del Copenaghen per gli ottavi? Doveva arrivare ultimo, s’è qualificato e per loro sembrava Natale. Devono vincere sempre i soliti? Nel calcio no, nel calcio c’è l’impensabile, l’emozione. Non la matematica. Nessuno in Germania andrebbe in Superlega, ci sarebbe una rivoluzione dei tifosi. Da noi prevale il merito. Se sei bravo, vinci e guadagni. Lì compri il posto nella Lega perché sei ricco e guadagni anche se non vinci. Non fa per noi».
«Io sono vecchio e ho visto tanto: mai immagine, soldi e solidarietà sono stati migliori – conclude la bandiera di Bayern Monaco, Inter e Germania -. Un equilibrio ideale. Appena c’è da spartire gli utili, tutti vorrebbero di più, è vero, ma alla fine ci si accorda. Cambiare per cambiare non avrebbe senso. Bisogna proteggere il calcio e la politica deve aiutare. Un altro modello creerebbe soltanto danni. Il calcio è un fenomeno centrale della vita sociale. Milioni di persone nel weekend vanno allo stadio. Però ora la politica deve capire un’altra cosa che mi ha domandato il proprietario americano del Liverpool: “Perché in America investo e guadagno e qui ogni anno vinco e aumentano i costi?”. Ecco il problema: vinci, incassi, ma stipendi e trasferimenti crescono. Andavo a Bruxelles per chiedere interventi e mi rispondevano sempre no: “Il mercato deve essere libero”. Troviamo il modo intelligente per fermare la corsa al rialzo che piace a chi ha soldi illimitati».