Il Triplete ottenuto dal Manchester City degli emiri di Abu Dhabi ha segnato il punto più alto mai raggiunto da un Paese del Golfo nel calcio europeo, assicurando agli sceicchi arabi la prima Champions League della loro storia.
Ma questo successo non rappresenta per alcun motivo il punto di arrivo del percorso iniziato ai primi anni del secolo. Quando prima, nel 2008, gli emissari di Abu Dhabi hanno acquistarono il City investendo qualcosa come 1,5 miliardi di euro in 15 anni e facendolo diventare la squadra più forte e anche più ricca del mondo. E poi nel 2011, la Qatar Sports Investment (diretta emanazione del Qatar Investment Authority, fondo sovrano qatariota) ha acquisito il Paris Saint Germain issando la capitale francese a potenza mondiale del calcio.
Piuttosto il successo degli Sky Blues sarà molto più probabilmente la base per un ulteriore salto del mondo arabo verso una posizione di ulteriore maggior protagonismo nel calcio mondiale e i cui prodromi si stanno iniziando a intravedere. Anche perché se sinora la maggior parte degli investimenti erano arrivati dagli Emirati Arabi e dal Qatar, da un anno a questa parte si sta muovendo il Paese che per grandezza e rilevanza geopolitica è il più importante dell’area, ovverosia l’Arabia Saudita. Paese che nel 2021 ha acquistato il Newcastle tramite il fondo sovrano PIF riportandolo in Champions dopo un solo campionato grazie a una campagna acquisti molto onerosa (per altro è di questi giorni l’acquisto di Sandro Tonali dal Milan per la cifra monstre intorno ai 70 milioni). Mentre all’inizio del 2023 si è assicurata il talento di Cristiano Ronaldo per il proprio torneo interno per il quale ora sta facendo incetta di campioni in giro per il mondo.
L’obiettivo ufficiale, o quanto meno quello più o meno dichiarato dei Sauditi, è ottenere l’organizzazione di una delle prossime edizioni dei Mondiali. Inizialmente si era pensato già a quella del 2030 (la prima disponibile visto che quelli del 2026 sono stati già assegnati alla proposta congiunta Stati Uniti–Canada–Messico) ma la notizia di questi giorni indicano che pare questa idea sia stata procrastinata.
In ogni modo, quando succederà, sarà interessante vedere, a meno di importanti cambi di rotta politici nella stessa Arabia, se la FIFA si piegherà al “pecunia non olet” che ha caratterizzato l’edizione del 2022 in Qatar in tema di diritti civili e dei lavoratori. L’Arabia Saudita, è cosa nota, al momento non brilla certo per apertura sui questo tipo di temi e il delitto Khashoggi è un’ombra difficile da dimenticare quando si parla di quella nazione.
Ma al di là delle intenzione ufficiali, molto probabilmente il vero scopo dei sauditi è ancora più ambizioso: ed è quello di fare dei Paesi del Golfo i veri protagonisti del calcio mondiale, sia detenendo sia le leve del potere nel movimento più sviluppato e importante – ovvero il calcio europeo – sia sviluppando nei propri territori un movimento significativo.
Non va dimenticato per altro che negli ultimi i rapporti geopolitici tra Emirati, Qatar e Arabia Saudita, in particolare quelli tra gli ultimi due Paesi, che non sono stati semplici per lungo tempo sembrano essere ora molto migliorati. Al centro in particolare c’era l’embargo messo in atto nel giugno 2017 da parte di una coalizione di una manciata di Paesi, capeggiata dall’Arabia Saudita nei confronti del Qatar. E al centro finì anche lo sport, con lo scontro sul fronte BeIN Sports che si concluse poi con una distensione tra i due Stati arabi.
Non è un mistero d’altronde che entrare nel calcio mondiale per la porta principale possa rappresentare una chiave strategiche per quegli Stati e per le loro dinastie al potere, che per continuare ad essere ricche ed influenti come ora, hanno necessità assoluta di diversificare gli affari dal business del petrolio. E questa esigenza è tanto più sentita da quando i Paesi Occidentali hanno accelerato sulla transizione elettrica ed ecologica.
Proprio per questa esigenza di diversificazione dei propri interessi in quei Paesi esiste una necessità crescente di fare affari all’estero in diversi e svariati settori commerciali. E quindi a cascata anche la necessità di pulirsi la loro immagine non proprio trasparente per poter fare meglio business in Europa e Nord America. E in questo quadro quale migliore strumento del calcio se non il cosiddetto sportwashing? Ovvero quel processo mediatico-economico per il quale grazie ai successi sportivi delle squadre possedute si suscita tra la popolazione e nell’establishment di una certa nazione passione e ammirazione che contribuiscono a pulire la propria immagine e a crearsi un ambiente business più favorevole e meno ostile.
D’altronde tutti i Paesi del Golfo dispongono di fondi sovrani dalle disponibilità immense. I più grandi, tra cui il saudita PIF, hanno potenza di fuoco da oltre 700 miliardi di euro, grandezze tali da fare sembrare gli investimenti nel calcio, per quanto cospicui, argent de poche o quasi.
NON SOLO NEWCASTLE, IL PESO DI PIF PER IL CALCIO SAUDITA
Entrando nello specifico va notato come la prima mossa saudita di una certa importanza sia avvenuta nel 2021 quando PIF, che dispone di una dote di oltre 700 miliardi, ha prima visionato la situazione Inter, scartata perché «la Serie A è un disastro», e poi ha acquisito il Newcastle. E qui, nel nord dell’Inghilterra, dopo una prima campagna acquisti poderosa nel 2022, la squadra ha subito centrato la qualificazione in Champions e ora può permettersi ulteriori investimenti per rafforzarsi. Si veda appunto l’acquisto di Tonali per 70 milioni.
Ma la strategia saudita è più diversificata e non si limita al Newcastle. Prevede infatti anche il rafforzamento del movimento interno e non a caso nelle settimane scorse è infatti arrivata una importante svolta, con lo stesso PIF che è diventato nei fatti il proprietario delle principali squadre dell’Arabia Saudita:
- Al-Ittihad
- Al-Ahli
- Al-Nassr
- Al-Hilal
Quindi fornendo loro una potenza di fuoco impressionante. Non a caso sono queste squadre che stanno movimentando la prima parte del mercato a livello mondiale: Karim Benzema è andato al Al-Ittihad dove guadagnerà 200 milioni a stagione, Marcelo Brozovic è nel mirino dell’Al-Nassr che gli ha promesso un ingaggio da 20 milioni a stagione.
E cosa impensabile sino a qualche tempo fa, i Sauditi stanno facendo incetta di campioni anche nella ricca Premier League inglese dove gli stipendi sono già molto elevati. Nel caso specifico, il Chelsea sta vendendo in Arabia tra gli altri giocatori del calibro di Kalidou Koulibaly, Hakim Ziyech ed Édouard Mendy. Mentre a Lukaku, che ufficialmente è ora un giocatore dei Blues, era stato promesso uno stipendio da 25 milioni a stagione, che però il belga pare avere rifiutato perché vuole rimanere all’Inter. Lo stesso sta facendo il Wolverhampton, che ha in piedi una trattativa per cedere Ruben Neves per quasi 60 milioni di euro. E c’è da scommettere che la lista della spesa non sia terminata qui.
Per altro su Chelsea e Wolverhampton vale la pena aprire una parentesi di non secondaria importanza e che mostra come il capitale del Golfo sia ormai molto addentro il mondo del calcio nel Vecchio continente. I blues sono legati al mondo saudita in particolare per il rapporto tra PIF e il fondo Clearlake, socio di Boehly, mentre per i Wolves il legame è soprattutto legato al ruolo superprocuratore portoghese Jorge Mendes che ha già portato CR7 in Arabia e che di fatto è anche un superconsulente per il club inglese. E quindi nei fatti è come se tramite i grandi investimenti arabi per acquisire giocatori di questi due club inglesi, PIF stesse dando una mano per pulire le loro “malefatte” in sede di mercato. In particolare quelle del Chelsea che dopo avere speso qualcosa come 330 milioni nella sessione invernale 2022/23 si trova ora nella necessità assoluta di vendere visto che essendo arrivato dodicesimo in Premier League non potrà avvalersi dei denari provenienti dalla la prossima Champions League.
ARABIA SAUDITA COME LA CINA? SIMILITUDINI E DIFFERENZE
È evidente che questa offensiva dell’Arabia Saudita ricorda per molti versi quella orchestrata dalla Cina qualche anno fa. Anche il Paese del Dragone tramite le proprie società manifatturiere aveva avviato una serie di acquisizioni di club nel Vecchio continente – uno su tutti l’Inter – e nel contempo si era mosso per attirare giocatori talentuosi nel proprio campionato. Anche se al massimo si arrivò ad Oscar del Chelsea oppure a Hulk dal Porto e mai a top player quali Cristiano Ronaldo e Benzema (per quanto sul viale del tramonto).
Anche qui l’obiettivo era l’organizzazione dei Mondiali e strutturare in Patria un movimento significativo. Il tentativo cinese però non durò che pochi anni e si arenò quando nel governo di Pechino il vento mutò e il calcio non fu più ritenuto uno strumento idoneo alle strategie dello Stato in senso più lato.
L’interrogativo a questo punto è domandarsi se potrà succedere lo stesso anche nei Paesi del Golfo? La risposta è difficile da prevedere ora, anche perché vaticinare cosa possa accedere in Paesi che non sono a trazione democratica è sempre molto complicato. Certamente però la strategia dei Paesi del Golfo sembra più strutturata e può godere di maggiori punti di appoggio rispetto a quella cinese.
In primo luogo due di questi Paesi – Emirati Arabi Uniti e Qatar – sono proprietari da anni di due dei maggiori club europei – Manchester City e PSG – per i quali hanno investito cifre esorbitanti per portarli al livello odierno. E non è detto che tra poco il Qatar possa aggiungere anche il Manchester United al suo portafoglio.
In aggiunta l’Arabia Saudita non solo controlla il Newcastle, ma, come si è visto, tramite le sue società ha legami con club importanti quali appunto il Chelsea e il Wolverhampton. E da alcuni anni organizza in patria l’edizione della Supercoppa italiana e spagnola.
Infine ma certo non meno importante, va poi notato che il patron del PSG, il qatarino Nasser Al-Khelaifi, è il numero uno dell’ECA, l’associazione che unisce i maggiori club europei, oltre a essere stato il principale alleato del presidente della UEFA Aleksandar Ceferin nella battaglia contro la Superlega. Insomma il capitale del Golfo è molto più addentro i meccanismi e i gangli vitali del calcio europeo di quanto i cinesi non lo siano mai lontanamente stati. E non si tratta di particolari insignificanti quando l’obiettivo è arrivare a dominare questo sport.
Inoltre, e non è un particolare di secondo piano soprattutto per quanto concerner lo sviluppo del loro torneo interno, i giocatori (in particolare i top player) sembrano essere più propensi ad accettare le mega offerte arabe di quanto non lo fossero ma stati nei confronti di quelle cinesi, che erano altrettanto elevate.
Si voglia per la relativa vicinanza geografica all’Europa, o per la migliore qualità della vita rispetto alle megalopoli cinesi, o ancora per questioni personali – un numero crescente di giocatori di alto livello è di fede musulmana (è il caso di Benzema) e quindi un trasferimento in quei Paesi è visto anche quale una opportunità interessante – fatto sta che i maxi stipendi offerti dagli arabi sembrano essere più allentanti che non gli stessi mega salari offerti dalle squadre cinesi al loro tempo.
L’IMPATTO DEI SOLDI SAUDITI SUL CALCIOMERCATO
In questo contesto non deve sorprendere che siano stati proprio i club arabi o quelli legati a quegli Stati (tipo Newcastle) i primi a muoversi sul mercato nella sessione di mercato iniziata ora. I first mover infatti sono sempre quelli che hanno liquidità disponibilità economica da mettere sul piatto. E poi si possono muovere gli altri, specie quelli che hanno beneficiato direttamente della liquidità immessa nel settore dai pesci più grandi della catena alimentare.
Per questo motivo, insieme agli arabi, anche i club inglesi, che beneficiano dei ricchissimi proventi dei diritti tv della Premier League, stanno iniziando a muoversi. La stagione Oltremanica partirà il 6 agosto con il Community Shield mentre il campionato inizierà l’11 agosto e quindi bisognerà attivarsi per tempo per garantire agli allenatori una squadra per partire subito bene in campionato. Perché in un torneo competitivo come quello inglese arrivare a fine mercato con una squadra non ancora completa significa rischiare di pagare molto in termini di punti. E considerando, il livello di competitività, questo ritardo può non essere semplice da recuperati nel prosieguo della stagione e quindi risultare esiziale. Non a caso i club italiani attualmente stanno trattando cessioni praticamente soltanto con club inglesi o arabi. Una volta che questi si saranno messi a posto, inizieranno le trattative tra le italiane, a meno che qualcuno con in manso soldi arabi o inglesi, come nel caso del Milan, possa muoversi in anticipo.