Adriano Galliani a tutto campo. L’amministratore delegato del Monza ha rilasciato una lunga intervista a Il Corriere della Sera, nella quale ha toccato moltissimi argomenti. Dal rapporto con Berlusconi all’acquisto del Milan, passando per Calciopoli e i campioni del passato e fino al più recente acquisto del club brianzolo da parte di Fininvest.
Galliani racconta che con i primi soldi guadagnati nella vita aprì «uno stabilimento balneare a Vieste, sul Gargano; ma arrivarci in macchina era un’odissea. Divenni socio di un’azienda, Elettronica Industriale, e alla fine la comprai». E’ proprio qui che matura il primo incontro con Silvio Berlusconi, di cui Galliani racconta nel nuovo libro scritto con Luigi Garlando, “Memorie di Adriano G.”.
Berlusconi gli chiese di piazzare i ripetitori delle sue tv. «Già pensava a tre canali nazionali. Obiettai che non era possibile: perla legge poteva averne solo uno regionale. Fu secco: “Lei faccia il tecnico e mi dica: la sua azienda può realizzare il mio progetto?”. Fu il mio periodo eroico. Ho comprato pezzi di colline e di montagne in quattromila comuni. Al Sud sul rogito spesso il venditore scriveva: professione, benestante».
Poi arrivò l’acquisto del Milan: «Era il Capodanno 1986. Sono in vacanza nella villa del presidente a St. Moritz, con Confalonieri e Dell’Utri. Fa un freddo tremendo, usciamo imbacuccati per andare a prendere l’aperitivo al Palace e incrociamo il clan Agnelli: l’Avvocato con la camicia aperta, Montezemolo con il ciuffo, Jas Gawronski elegantissimo, forse Malagò. Al confronto noi sembravamo Totò e Peppino. Condividiamo il tavolo. Alla fine Berlusconi ci dice: “Potremo fare anche noi grandi cose, ma non saremo mai come loro. Ci mancano venti centimetri di statura e il coraggio di esporre il petto villoso sottozero”. Qualche giorno dopo ci propose di prendere il Milan».
Sul rapporto con l’ex Premier, Galliani è chiaro: «Non c’è nulla di più lontano dalla realtà dell’immagine che ha dato di lui certa stampa. È come Ezzelino da Romano, passato alla storia come crudele mentre era un grand’uomo. Berlusconi è la persona più buona che ho conosciuto in vita mia. È dolcissimo. Non dimenticherò mai le cose che mi ha detto sulla nostra amicizia prima del suo intervento al cuore; anche se dopo 44 anni non riesco a dargli del tu. Quando rischiai di morire di Covid, in un prefabbricato senza finestre, lui telefonava al San Raffaele ogni giorno per avere mie notizie».
Tra i vari aneddoti del suo nuovo libro, anche un racconto sullo stipendio di Arrigo Sacchi: «Lo intercettammo per strada. Quasi impossibile, nell’era pre-telefonini. Accettò di firmare in bianco. Io scrissi 300 milioni, meno di quello che prendeva in B al Parma. Lui pose una condizione: a ogni trofeo me lii raddoppiate. L’anno dopo vinse lo scudetto, l’anno dopo ancora la Coppa dei Campioni. Faceva un miliardo e 200 milioni. Che fui felice di pagargli».
Passando ai tempi più recenti, Galliani ricorda l’ultimo Pallone d’Oro della Serie A, Kakà, e teme che non se ne vedranno altri per un po’ di tempo: «Spero di sbagliarmi. Abbiamo le due squadre di Milano in semifinale, è un segnale in controtendenza. Ma la Premier fattura quattro volte più della serie A. I rapporti di forza sono troppo sbilanciati».
Su Calciopoli, l’AD del Monza chiude con un breve commento. «Ero presidente di Lega: crede che i presidenti delle altre squadre mi avrebbero eletto, se ci fossero stati brogli e inganni? Interrogato da Borrelli? Filò tutto liscio. Poi però la sua collaboratrice Maria José Falcicchia, futura vicequestore di Milano, mi inseguì: “Il dottor Borrelli vorrebbe fargli ancora una domanda”. Tornai indietro e gli feci notare che quella era la tattica di Lavrentij Berija, il ministro degli interni di Stalin».
I rapporti con Moggi vengono definiti «buoni, anche se ne avevo di più con il mio omologo, Giraudo. Ma con la Juve non c’era alleanza. C’era convergenza di interessi. Poi sul campo ci si affrontava a viso aperto. Eravamo due squadre fortissime, nel 2003 ci giocammo la Champions».