Il nome di Paolo Scaroni continua a risuonare negli ambienti politici e del governo come dirigente giusto per la presidenza dell’Enel. Il manager, oggi presidente del Milan e vicepresidente di Rotschild, è in cima alle preferenze non solo di Matteo Salvini ma soprattutto di Silvio Berlusconi, con cui il legame è stretto da anni. Ma, come riportato da La Stampa, resta lo scetticismo del premier Giorgia Meloni sulla nomina di Scaroni a una controllata statale.
Per capirne le motivazioni, prosegue il quotidiano torinese, bisogna tornare al novembre 2006. L’allora ad dell’Eni Paolo Scaroni vola a Mosca per firmare quello che lo stesso manager vicentino definisce “un accordo storico” con Gazprom, la controllata russa dell’energia. Sono gli anni in cui Vladimir Putin è un partner dell’Occidente, membro del G8 e fornitore di materie prime per il resto d’Europa, Italia su tutti. L’accordo firmato da Scaroni nasce sotto gli auspici di due premier (Romano Prodi e lo stesso Berlusconi), legando a doppio filo il destino di Eni con la Russia sotto il punto di vista di esplorazione, trasporto, trasformazione e cooperazione tecnologica per il gas naturale. Un accordo i cui effetti sono ancora presenti oggi, visto che con contratti a lungo termine fino al 2035 Eni diventerà il primo cliente mondiale di Gazprom.
Da qui nascono gli scetticismi di Giorgia Meloni sull’eventuale nomina di Scaroni, visto appunto il legame con la Russia, prosegue la Stampa, che sottolinea anche come pesino anche operazioni poco opache come la vicinanza al faccendiere Luigi Bisignani e gli affari l’imprenditore italiano Bruno Mentasti, amico personale di Berlusconi e altri soci russi schermati da società cipriote in un accordo con in ballo la fornitura di tre miliardi di metri cubi di gas destinati all’Eni.
Se l’ipotesi del rientro appunto all’Eni per Scaroni è già tramontata (alla luce dei rapporti incrinati con Claudio Descalzi, suo successore come amministratore delegato), resta in piedi il tema della presidenza dell’Enel. Una nomina che, si sottolinea nei palazzi romani, sarebbe spinta da Berlusconi e Salvini come miglior modo per riallacciare i rapporti con Mosca quando sarà finita la guerra.
Ma gli scenari sono notevolmente mutevoli, soprattutto a livello energetico. Come dimostrato anche dalle stesse parole di Scaroni nei mesi scorsi, quando aveva sostenuto che «la chiusura dei rubinetti russi sarebbe preoccupante» e che «avremo bisogno di quel metano per altri dieci anni». Tuttavia, nel giro di alcuni mesi Descalzi è riuscito a dimezzare le forniture di gas da Mosca.
In questo quadro, tuttavia, va anche sottolineato, conclude La Stampa, che secondo gli amici di Scaroni il manager vicentino stia bene dove sta, visto che a 77 anni non gli mancano né il lavoro (con la banca d’affari Rotschild) né gli sfizi (la già citata presidenza del Milan), pur ammettendo che il richiamo della foresta del potere è forte per chiunque, e dunque lui potrebbe così accettare con spirito di servizio sulle pressioni di Berlusconi e Salvini. Ma senza credere per un minuto alla possibilità di firmare mai più accordi come quello siglato in quel lontano 2006.