"Vision 2030", investire nello sport per cambiare immagine: il caso Arabia Saudita

La prima storica amichevole di San Gallo del 28 maggio ha fatto d’apripista, l’accordo che porterà la Supercoppa Italiana a Riyad nel prossimo triennio è invece quello che ha messo…

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La prima storica amichevole di San Gallo del 28 maggio ha fatto d’apripista, l’accordo che porterà la Supercoppa Italiana a Riyad nel prossimo triennio è invece quello che ha messo nero su bianco gli accordi: il calcio italiano è entrato ufficialmente in “Vision 2030”, il piano di rilancio economico stilato dal principe Mohammed Bin Salman per rendere l’Arabia Saudita un paese moderno, allentare la morsa statale, e rinvigorire la reputazione del Paese nel mondo.

Liberalizzazione dei costumi, libertà alle donne, ma soprattutto sport: sono queste le arme sulle quali “il riformista”, che all’età di 32 anni si prepara a succedere come re al padre Salman, e intanto occupa il posto di ministro della difesa e presidente del Consiglio per gli Affari Economici e di Sviluppo, ha deciso di fare affidamento per trasformare la società saudita da qui ai prossimi decenni.

L’ambizioso progetto, presentato nell’aprile del 2016 e reso necessario per permettere all’Arabia Saudita una diversificazione degli investimenti interni e per slegare la dipendenza della finanza nazionale dalle scorte petrolifere, ha registrato una veloce impennata negli ultimi dodici mesi, e cioè all’indomani dello storico strappo delle monarchie del Golfo con l’alleato Qatar. Una girata di spalle collettiva che, capitana dai sauditi, ha portato Emirati Arabi, Bahrain, Kuwait ed Egitto a isolare Doha, accusato di finanziare il terrorismo internazionale di intrattenere stretti rapporti con l’Iran, rivale storico saudita per l’egemonia dell’area. Il braccio di ferro non ha portato gli effetti sperati; il Qatar, che tra quattro anni si prepara ad ospitare il primo storico Mondiale, continua a correre senza guardarsi alle spalle, insidiando Riyad come prima piazza finanziaria del Medio Oriente, e all’Arabia Saudita non è rimasto altro che seguirne le orme adottando lo sport come strumento di soft power; arma politica per cambiare la società, modernizzarla e intercettare nuovi investitori esteri pronti a portare capitali, oltre a cambiare l’immagine del Paese nel mondo, ancora troppo legata a un’idea conservatrice e oscurantista.

Dei 2.7 miliardi di dollari messi sul piatto per il settore “fun and entertainment”, sono poco più di 650 milioni quelli destinati dalla CEDA (Council of Economic and Development Affairs) allo sport. Il primo tassello per il traguardo appunto fissato nel 2030 è indicato nel National Trasformation Program (NTP), primo tassello del più avveniristico “Vision 2030” e prevede di intervenire sulla popolazione saudita, che conta poco più di trenta milioni di abitanti, portando il tasso di svolgimento della pratica sportiva dal 13% al 40%, prevedendo allo stesso tempo un profondo piano di privatizzazioni sia a livello di società sportive che di federazioni, leghe e comitati, ancora tutte largamente controllate dal potere centrale della General Sports Authority (GSA), del presidente Turki bin Abdel Muhsin Al-Asheikh. Il fine è inoltre quello di creare oltre 40.000 posti di lavoro in figure dirigenziali formate e scelte attraverso un criterio di selezione meritocratica e di competenza, investendo in tutte e tredici le provincie del Regno, non soltanto nella capitale. Prima di allargarsi all’estero, infatti, nei piani di Mohammed Bin Salman c’è l’ambizione di allestire un campionato interno competitivo, non più “viale del tramonto” di star di fine carriera, ma lega di sviluppo e progresso, in collaborazione con i principali club mondiali, e che possa magari dare un apporto anche alla crescita della Nazionale, che ai Mondiali è tornata di scena dopo dodici anni d’assenza, me nelle ultime dieci gare ha ottenuto soltanto due pareggi e dieci k.o., oltre a giacere vicino al 70° posto del ranking Fifa.

Nel mirino saudita non c’è solo l’Italia. Un anno fa, infatti, è stata la Liga spagnola a inaugurare una nuova partnership con la GSA e con la Saudi Arabian Football Association che ha portato nove giocatori sauditi a vestire una maglia di club di Primera e Segunda Division nel corso dell’ultima annata. Salem Al Dawsari: centrocampista del 1991, 15 presenze e 4 reti in stagione; l’attaccante Fahad Al-Muwallad: classe 1994, 13 caps e 4 gol; e il fantasista Yahia Al-Shehri del 1991, 17 presenze e 4 gol – tutti e tre rappresenteranno la Nazionale a Russia 2018 – hanno trascorso la loro stagione rispettivamente in forza a Villarreal, Levante e Leganès; in seconda serie, invece, Numancia, Sporting Gijòn, Rayo Vallecano e Valladolid hanno dato la loro disponibilità ad accogliere dei tesserati, il cui stipendio è stato sempre onorato dalla Federazione saudita. La collaborazione spagnola, poi, non termina qui: tra i progetti ci sono infatti la costruzione di academy in Arabia e progetti di fan-engagement sovvenzionati dalla Liga per avvicinare i tifosi sauditi al calcio spagnolo, che a Riyad e dintorni resta sempre il più seguito.

Nuovi investimenti arabi sono attesi intanto nei prossimi anni anche nel resto delle top-division europee. In Inghilterra, da sempre mercato di riferimento per il mondo arabo, sembra muoversi qualcosa per quanto riguarda partecipazioni in club londinesi; discorsi differenti, invece, riguardano Germania e Francia. Nel primo caso, la regola che impedisce a un’azionista di detenere più del 51% delle quote, oltre a vacillare e a far discutere, non scuote l’appetito saudita, che infatti non ha mai ritenuto la Bundes un campionato valido dove investire. Per quanto concerne la Ligue 1, resta invece da capire quali misure prendere in un contesto dove a fare la voce grossa sono proprio gli odiati vicini qatarini: un testa a testa rischioso, che andrebbe oltre i confini della guerra diplomatica.

La trasformazione della società saudita attraverso lo sport, infine, non si articola soltanto attraverso il calcio. A inizio di quest’anno, infatti, il mastodontico King Fahd Stadium di Riyad, megaimpianto da 75.000 spettatori, ha ospitato la Race of Champions di Motorsport. Un evento, definito dal presidente della ROC, Fredrik Johnsson: “perfettamente organizzato dall’Arabia Saudita: un mercato emergente che si sta affermando nel panorama del business sportivo mondiale”. Tre mesi più tardi, invece le World Series of Boxing hanno debuttato in territorio arabo per la prima volta nella loro storia, raccogliendo gradimento tra l’opinione pubblica, per uno sport poco conosciuto nelle in riva al Golfo Persico. E’ invece fissato per febbraio 2019, infine, la disputa dell’European Tour: torneo che dal 31 gennaio al 3 febbraio renderà il Royal Greens Golf and Country Club di King Abdullah Economic City nell’epicentro del golf mondiale.