Adidas e Nike, è sfida su chi paga meno i lavoratori: la denuncia in un dossier

Una manifestazione importante come Euro 2016 è teatro, come facile immaginare, anche della continua lotta tra i due principali sponsor tecnici, Adidas e Nike. I due marchi di abbigliamento…

Bari

Una manifestazione importante come Euro 2016 è teatro, come facile immaginare, anche della continua lotta tra i due principali sponsor tecnici, Adidas e Nike. I due marchi di abbigliamento sarebbero però protagonisti anche di un atteggiamento poco rispettoso nei confronti dei propri dipendenti in Asia. A denunciare la situazione è un dossier realizzato da due media francesi, il mensile Alternatives Economiques e il sito di informazione indipendente Basta! con l’appoggio dell’associazione svizzera Fondation Charles Leopold Meyer.

Il rapporto è stato realizzato con l’obiettivo di mettere in evidenza il disequilibrio fra gli investimenti in marketing e comunicazione, e le paghe dei lavoratori alla base della filiera che produce i capi sportivi più diffusi del pianeta. I giornalisti di Basta! hanno sottolineato come il guadagno dell’operaio vietnamita di Nike sia di molto inferiore al salario vitale o di sussistenza, adatto a soddisfare bisogni primari come alloggio, energia, acqua potabile, alimentazione, vestiario, salute e istruzione.

Questa idea è stata spiegata in modo ancora più chiaro effettuando un paragone tra il guadagno di un operaio e quello percepito da una stella di fama mondiale come Cristiano Ronaldo. Con i circa 25 milioni del contratto di sponsorizzazione concluso fra Nike e l’attaccante del Real Madrid sarebbe infatti possibile pagare per un anno salari vitali a 19.500 operai vietnamiti delle fabbriche subappaltatrici.

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Il problema ormai non può più essere sottovalutato. Per farsi un’idea più precisa della situazione è possibile consultare il sito bastamag.net. Qui è possibile calcolare quanti operai potrebbero essere remunerati con il costo delle sponsorizzazioni di nazionali, club e calciatori. Le stime soo state curate da Basic, Bureau d’analyse sociétale pour une information citoyenne (Ufficio d’analisi societaria per un’informazione cittadina).

Nayla Ajaltouni del Collectif éthique sur l’étiquette ha però deciso di non stare a guardare e così dal 1995 è impegnata nel tentativo di globalizzare i diritti umani sul posto di lavoro. Troppo spesso, infatti, i marchi sono attenti a migliorare i contratti per le loro stelle, ma non fanno altrettanto per chi con il proprio lavoro realizza le attrezzature che possono incentivare le loro prestazioni.

In Cina, ad esempio, i sindacati stanno lottando con impegno per ottenere il salario minimo, ma con il rischio concreto di spingere le multinazionali a spostare la produzione in zone più povere e vantaggiose.

Sono diverse le aziende che hanno così deciso di dirottare la propria produzione dalla Cina ad altri Paesi vicini come Birmania, Vietnam, Indonesia e Cambogia. Basic ha provato anche a fare una previsione su quello che potrebbe accadere da qui in avanti. Entro il 2020 la produzione in Cina di t-shirt Adidas calerà dal 33% al 12%, mentre quella di scarpe dello stesso brand passerà dal 23% al 15%.

In Cina si sta comunque provando a rimediare alla situazione attuale. Il governo, infatti, punta a mantenere un equilibrio tra aumento graduale dei salari per favorire la domanda interna e offerta di incentivi alle imprese manifatturiere per installarsi in zone a più basso costo. A rivelarlo è il corrispondente da Cina e Taiwan del Wall Street Journal, Mark Magnie. I tre giganti dello sportswear, Adidas, Nike e Puma hanno così deciso di trasferire diversi stabilimenti in Vietnam.

Adidas sta però provando almeno in parte a invertire questa tendenza. Il brand ha riaperto recentemente, dopo 30 anni di delocalizzazioni, una fabbrica di scarpe dove gran parte del laoor viene svolto dai robot.