Cassazione conferma risarcimento a Del Piero per pubblicità ingannevole

Alessandro Del Piero dovrà avere un risarcimento di 258 mila euro dall’Istituto multidisciplinare europeo. Lo ha confermato la Cassazione, condannando al pagamento il centro studi privato che aveva usato l’immagine…

cartellino azzurro grande

Alessandro Del Piero dovrà avere un risarcimento di 258 mila euro dall’Istituto multidisciplinare europeo. Lo ha confermato la Cassazione, condannando al pagamento il centro studi privato che aveva usato l’immagine dell’ex capitano della Juventus senza consenso quando il giocatore era testimonial del Cepu (Centro europeo preparazione universitaria).

Nel giugno del 2000 su due quotidiani nazionali era comparsa una campagna pubblicitaria promossa dall’Ime in concomitanza con quella della Cepu. La pubblicità in questione – riassume la Cassazione – “raffigurava due personaggi su un campo di calcio, di cui uno identificabile in Del Piero: il testo di apertura del messaggio pubblicitario recitava ‘Alex 0, Luigi 8, Luigi è iscritto allo stesso anno di Alex e nella stessa facoltà. Alex non ha dato nessun esame, Luigi nello stesso anno ne ha superati otto. Luigi è uno studente Ime, Alex no”.

Per essere stato usato come ‘testimonial’ senza aver dato il consenso, e senza aver percepito alcun compenso, Del Piero si era rivolto alla magistratura. L’Ime si difese sostenendo “la non indispensabilità del consenso trattandosi di pubblicità comparativa”, e a sua volta contrattaccava chiedendo che fosse Del Piero a risarcirgli i danni dal momento che “nella sua qualità di testimonial Cepu aveva fatto credere di essere iscritto all’università, ingenerando confusione tra i consumatori e sottraendo fette di mercato all’Istituto multidisciplinare europeo”.

Ma non è andata come sperato per l’Ime, che si era allora rivolta alla Cassazione sottolineando che la sua pubblicità “era di tipo comparativo e quindi l’utilizzo dell’immagine di Del Piero sarebbe avvenuta in un contesto lecito e non ha prodotto alcun danno, né patrimoniale né non patrimoniale”. Dunque, secondo l’Ime, era sbagliato aver attribuito all’ex numero dieci bianconero il diritto a ottenere “il prezzo corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il consenso alla pubblicità”.

Ma la Cassazione ha ritenuto che, comunque, l’Ime avesse oltrepassato i limiti entro i quali condurre “una legittima pubblicità comparativa” in base alle norme che la regolamentano.