Popi Bonnici: "Più mobile e camere dedicate: ecco come sarà il calcio del futuro"

L’atto di seguire una partita di calcio in diretta tv è semplicissimo e naturale, ormai quasi scontato in tempi di iperofferta distribuita tra schermo tv tradizionale e streaming…

Calcio 2003/20024

L’atto di seguire una partita di calcio in diretta tv è semplicissimo e naturale, ormai quasi scontato in tempi di iperofferta distribuita tra schermo tv tradizionale e streaming online su pc e mobile. Ma dietro le quinte il lavoro è minuzioso, particolareggiato, e coinvolge moltissimi professionisti, tutti con un ruolo preciso iperspecializzato.

Per conoscere più a fondo il dietro le quinte CF – calcioefinanza – che è stata ospite dell’ultimo derby di Milano – ha avuto l’opportunità di intervistare Popi Bonnici, il regista dei registi, ovvero colui che da due stagioni è a capo della struttura “terza” della Lega Serie A che offre alle piattaforme tv le immagini da mandare in onda.

Un regista che, ai tempi in cui lavorava per Mediaset, era diventato quasi una star oscura, saltuariamente evocata da Sandro Piccinini che chiamava in causa “la regia di Popi Bonnici”. Una star senza volto.

Ma stiamo parlando di un’epoca già sorpassata, perchè, come spiega Bonnici a CF – calcioefinanza.it: “Da quando sono fornite dalla Lega Calcio, le immagini, come avrete notato, non vengono più “chiamate”, a meno che si tratti di quelle detenute con diritti di esclusiva dai broadcaster. In passato c’era una forte interazione e un grande rapporto con il telecronista, che ora si è perso”.

D. C’è stato, in questo senso, un miglioramento del prodotto?

R. “Si. Le immagini sono nostre e la verità è che il regista la telecronaca nemmeno la ascolta, segue un percorso proprio e indipendente, senza farsi influenzare da cronache che ad esempio a volte urlano al rigore in diretta salvo poi ricredersi radicalmente pochi secondi dopo”.

D. Ma quale conoscenza c’è, dietro a quella specificamente tecnica e tecnologica, nel lavoro di un regista?

R. Fondamentale è informarsi sulle squadre che si vanno a vedere per conoscerne l’approccio tattico. Ma la necessità è diversa da quella del telecronista. Bisogna tener conto dei giocatori chiave e del peso che hanno all’interno di una squadra: per noi ad esempio hanno rilevanza i flussi di gioco, le ricezioni di palla.

Come funziona la regia unica in Serie A (foto: Calcio e Finanza)
Come funziona la regia unica in Serie A (foto: Calcio e Finanza)

D. Vi ponete qualche limite su cosa mostrare o meno?

R. Una regola importante è non mostrare ciò che tocca genere, razza, religione. Io non voglio che si vedano queste manifestazioni becere di pensiero: io preferisco non dar loro visibilità. Esalto la parte di pubblico bella che è la maggioranza. Per noi è importante raccontare le persone, le emozioni, ma anche il pathos dell’evento, una parte di comunicazione non verbale fondamentale. Ad esempio quando nel derby Medel è uscito per infortunio abbiamo raccolto le sue immagini di sofferenza in panchina e le abbiamo date pochi minuti dopo, si tratta di creare pathos o di documentare: l’inquadratura del bambino che piange perchè la sua squadra perde può essere in diretta, ma anche no.

D. Quanta gente lavora alla produzione di una singola partita?

R. Dipende da quante telecamere ci sono. Di solito si va dai 40 ai 60 professionisti coinvolti. Un dato minimo? 12 telecamere per 12 operatori, almeno 7-8 macchinisti che preparano l’impiano. 4 persone al suono, 5-6 operatori per gli slow motion. Dai 3 ai 4 controlli camera, 2 persone sulla parte più tecnica, 3 persone per la Goal line technology. Poi abbiamo preparazione e coordinamento che richiedono almeno 5 persone. A questi va aggiunto il personale di regia (altre 3 persone). Se sali di standard hai 4 persone per l’ultramotion. C’è poi la grafica, l’offside. Superare i 40 è un attimo.

D. Cosa è cambiato in questi anni di partite raccontate in tv attraverso le immagini?

R. Tutto, se pensiamo che il campionato prima veniva ascoltato in radio. Uno strumento eccezionale, dove c’è lirica e metrica, pathos, ma non fact checking, ovvero la prova dei fatti, che con le immagini diventa immediata. Il bello della radio? Era raccontare ciò che si vuole. La cronaca invece in Italia è cambiata a partire da TeleRoma56, una grande fucina da cui sono usciti i Piccinini e i Caressa. Il problema è che le immagini non permettono di essere dogmatici e urlare “rigore” quando poi si scopre che l’episodio è molto diverso.

D. Vi è un diverso approccio nel lavoro della regia italiano rispetto a quello del calcio internazionale?

R. Si, ci sono sfumature diverse. Prendi ad esempio la telecamera dei 16 metri (quella del fuorigioco): da noi viene usata solo per l’offside, nel mercato francese invece si utilizza moltissimo quella visuale per alcune immagini. Se invece vai in Premier noterai che si fanno vedere molti meno replay, che da noi invece venivano in passato riprodotti all’infinito. La loro logica, che è anche il mio mantra, è “ball in play” voglio far vedere il più possibile giocare. Ad esempio in occasione di un angolo, è fondamentale non sovrapporre il replay al gioco, e in questo è decisivo controllare lo schieramento delle squadre e prevedere la velocità d’esecuzione del corner.

D. Le nuove tecnologie portano sempre più all’autoregia. Si prenda la BBC che quest’estate ai propri utenti ha offerto diversi canali in streaming con telecamere dedicate, o al servizio analogo di BT Sport, sempre in Inghilterra. Cosa significa questo per il regista classico?

R. Oggi il regista fa il lavoro dell’aggregatore esattamente come il giornalista quando deve selezionare le fonti per raccontare la propria storia. Io sono assolutamente favorevole al dare le immagini anche singolarmente e sono un fautore dei second screen, che consentano di vedere durante la diretta i replay, il futuro è fatto di gente che dal proprio telefonino fa lo zoom e va a vedere i dettagli. Il nostro lavoro invece sarà diverso, riguarderà il racconto complessivo, pur con questi elementi a disposizione.

D. Inevitabile non accennare alla moviola in campo, o se preferisce alla VAR, la video assistenza per l’arbitro.

R. Uno strumento importantissimo, che deve però seguire il suo percorso. Non c’è relazione con il nostro lavoro, la VAR osserverà altre cose e dovrà essere impostata in modo che ci siano telecamere fisse in modo da coprire ogni angolo del campo e dello stadio.

 

D. Visti i problemi dei nostri impianti, siamo pronti per questo?

R. Io ho fatto la progettazione dello Juventus Stadium: chi lo frequenta non vede le telecamere perchè nella fase architettonica abbiamo studiato le esigenze televisive. E’ uno stadio completamente cablato che oggi con il passaggio all’ultra hd è già in grado di supportarlo. Un lavoro lungimirante fatto otto anni fa che non genererà costi successivi. Un lavoro che probabilmente in molti dovranno progettare.

D. Nel dibattito sull’attribuzione dei diritti tv per il futuro hanno fatto capolino i nuovi media, i servizi di streaming. Che scenario dobbiamo immaginare?

R. Cambierà la fruizione, avremo diverse opportunità in mobilità per vedere le partite, ma cambieranno in questo senso i media, non i contenuti. E per questo con le varie app le piattaforme si stanno adattando e attrezzando da tempo. Nello sport non puoi cambiare il timing di un evento ed allora sarà fondamentale la disponiblità dello stesso in mobilità, ma dal punto di vista del nostro racconto non ci sarà cambiamento, se non quello di conoscere il pubblico sempre più esigente e competente nel valutare le situazioni di gioco.

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