Il grande bluff della Superlega, i grandi club vogliono solo un posto certo in Champions

Riforma Champions League – A dare fuoco alle polveri è stato Karl-Heinz Rummenigge in prima persona. Lo scorso gennaio, parlando nel corso di un convegno all’Università Bocconi, il presidente del…

nuovo stadio bordeaux
Riforma Champions League – A dare fuoco alle polveri è stato Karl-Heinz Rummenigge in prima persona. Lo scorso gennaio, parlando nel corso di un convegno all’Università Bocconi, il presidente del Bayern Monaco e dell’Eca (l’associazione che riunisce le principali società calcistiche europee), si è espresso apertamente a favore della nascita di «una grande Lega Europea sotto il tetto della Uefa o sotto un tetto privato, con una ventina di squadre, alla quale potrebbero partecipare squadre italiane, tedesche, inglesi, francesi e spagnole».
Da allora  è stato un fiorire di indiscrezioni su un presunto piano delle grandi potenze del calcio del vecchio continente per dare vita, in un futuro non troppo lontano, a un super-campionato europeo per club, sul modello delle leghe americane come l’NBA o l’NFL, alternativo sia ai campionati nazionali sia alla Champions League. Un progetto che, stando a quanto riportato dalla stampa inglese, starebbe entrando nel vivo proprio in questi giorni, con una serie di riunioni tra gli emissari di Stephen Ross, il patron dei Miami Dolphins (storica franchigia dell’Nfl) e ideatore, assieme al gruppo  Relevent Sports, dell’International Champions Cup (torneo estivo al quale partecipano tutti i top club, italiani compresi) e i vertici delle principali società di calcio europee.
Come svelato dal Sun, con tanto di reportage fotografico, mercoledì 2 marzo si è tenuto al Dorchester Hotel di Londra un meeting tra lo staff dell’International Champions Cup e i vertici dei 5 principali club della Premier League (Manchester United, Chelsea, Arsenal, Liverpool e Manchester City). Secondo il tabloid nel corso dell’incontro le «big five» inglesi avrebbero manifestato il loro supporto al progetto della Superlega europea.
Anche se, dopo la pubblicazione dell’indiscrezioni da parte del Sun, sia l’Arsenal sia il Liverpool hanno ufficialmente smentito l’intenzione di lasciare la Premier League per aderire al super-campionato europeo per club. Eppure, come confermato da uno dei partecipanti all’incontro del Dorchester, il numero uno di Relevent Sports, Charlie Stillitano, i grandi club del vecchio continente stanno davvero cercando di fare fronte comune per portare le proprie istanze all’attenzione dell’Uefa.

Riforma Champions League, il vero piano dei top club

La minaccia di dare vita a un superlega, secondo quanto spiegato dal settimanale finanziario Milano Finanza, che cita fonti del settore, sarebbe infatti finalizzata ad ottenere una riforma della Champions League, che garantisca un posto sicuro alle squadre più blasonate d’Europa a prescindere dal piazzamento nel campionato nazionale.
Un’idea portata avanti anche dall’ad del Milan, Adriano Galliani, che da tempo avrebbe suggerito in sede Eca di fare pressione sull’Uefa per ottenere, per i primi 5 campionati d’Europa, più posti nella fase a gironi della Champions o almeno play-off meno impegnativi rispetto alla formula attuale, dove sono favorite le squadre appartenenti a federazioni “minori”.

Riforma Champions League, inglesi in prima fila

Ma a spingere molto in questa direzione sarebbero soprattutto i club inglesi. Con il nuovo e più ricco contratto di commercializzazione dei diritti tv e un sistema di distribuzione dei premi che favorisce anche i piccoli club, premiandone i risultati sul campo, la Premier League sta diventando sempre competitiva (come dimostra il caso del Leicester di Claudio Ranieri) e quindi sarà sempre più difficile per i grandi club avere continuità di partecipazione alla Champions.
Basti dire che oggi il diciassettesimo club della Premier, proprio grazie ai diritti tv, fattura più del Napoli di Aurelio De Laurentiis e che dall’anno prossimo avrà, grazie alle tv, un minimo garantito di 150 milioni di euro. Gli inglesi quindi si trovano tra due fuochi: nessun interesse ad uscire dalla Premier ma al contempo la necessità di mantenere lo status europeo.
Il rischio concreto è che ogni 2-3 anni squadre come le due di Manchester, il Chelsea o il Liverpool oltre all’Arsenal si trovino fuori dalla massima competizione a fronte di top club non inglesi (soprattutto Bayern, Psg, Real Madrid e Barcellona) che hanno il posto di fatto garantito, vista la minore concorrenza nei campionati nazionali.
Le inglesi starebbero quindi giocando di sponda con altre nobili decadute come il Milan e l’Inter per premere collettivamente sull’Uefa affinché passi un modello diverso per la partecipazione alla Champions, dove, oltre ai piazzamenti nei campionati nazionali, conti anche il blasone (il numero di coppe dei campioni vinte e il bacino di utenza in termini di tifoseria).

Riforma Champions League, l’interesse delle tv

A una riforma in questo senso della Champions League, che sarebbe un toccasana per i conti di Milan e Inter, ma che garantirebbe, nel medio periodo, anche la Juventus, guardano con estrema attenzione le televisioni, che del calcio europeo sono una delle principali fonti di finanziamento.
Una Champions League senza i club più blasonati d’Europa e tifati d’Europa rende infatti più difficile ai broadcaster rientrare dei consistenti investimenti fatti per acquistare i diritti tv della Champions League.
Non per niente, solo qualche settimana fa, il direttore dei contenuti di Mediaset Premium, Yves Confalonieri, si è espresso a favore di un cambio radicale della Champions League. «Questo format non va bene», ha spiegato Confalonieri, «Quest’anno non ci sono né Milan né Inter, l’anno prima non c’era il Manchester United. Se l’Uefa vuole farsi pagare così tanto questi diritti, deve cambiare la Champions. Non solo noi, tutte le tv europee hanno interesse ad avere il massimo spettacolo con le squadre più blasonate e meno club minori».
Le condizioni per arrivare ad una modifica già a partire dal 2018 sembrano esserci. Anche perché Michel Platini, che era stato il fautore (anche per ragioni elettorali) di un format più favorevole ai club provenienti dalla federazioni minori, difficilmente sarà rieletto alla presidenza dell’Uefa, e perché la coesione di interessi tra televisioni e grandi club sembra essere maggiore che qualche anno fa.